di MARZIA APICE (Ansa) – Il pensiero politico prima di tutto e il legame con la Russia, ma anche i personaggi illustri, da Gramsci a Berlinguer, i dibattiti celebri, gli intrighi e gli “strappi” drammatici, per raccontare attraverso la storia di uno dei più importanti partiti italiani anche le vicende sociali e culturali del nostro Paese: a 100 anni dalla sua fondazione, avvenuta con la scissione dal Partito Socialista al Congresso di Livorno il 21 gennaio del 1921, sono tanti i libri che narrano l’evoluzione e l’influenza del Partito Comunista in Italia da vari punti di vista.
Trasporta indietro nel tempo nel 1921 e fa “vedere” al lettore le indignazioni, gli applausi e l’entusiasmo di tutti i protagonisti (Turati e Gramsci in primis, ma anche Bombacci e Menotti Serrati), che presero parte alla prima, forse la più importante, divisione della sinistra italiana il libro “Compagni! Il romanzo del congresso di Livorno” (Utet, pp.384, 18 Euro. Dal 19 gennaio) di Federico Mello. L’autore, con estrema precisione nei fatti storici, senza mitografia ma con una narrazione avvincente, racconta il momento cruciale del Congresso di Livorno e osserva da vicino ciò che accadde sul palco del teatro Goldoni, con lo scontro fra socialisti e comunisti e con l’allontanamento, mozione dopo mozione, dell’ala estremista, fino all’inevitabile scissione. E’ un’indagine non scontata quella che Paolo Franchi fa nel suo “Il Pci e l’eredità di Turati” (La nave di Teseo, pp.180, 16 Euro. Dal 21 gennaio), volume nel quale, spiegando la complessa storia del partito e i suoi principali esponenti (da Togliatti a Berlinguer), l’autore arriva a riflettere sul presente della sinistra italiana. Riprendendo il discorso che Turati pronunciò al Congresso di Livorno, in cui il politico difese il socialismo e profetizzò il futuro dei comunisti in Italia, Franchi riflette se e in quale modalità quelle intuizioni si siano poi realizzate.
D’Alema e Occhetto, Bertinotti e Bersani, ma anche Giorgia Meloni, Bruno Vespa, Vittorio Sgarbi, Lucia Annunziata e Giampiero Mughini sono alcuni dei politici e giornalisti che, con le proprie “confidenze”, hanno provato a spiegare i motivi dell’importanza storica e culturale in Italia del Pci nel libro “I comunisti lo fanno meglio (…oppure no?)” (Paesi Edizioni, pp.240, 18 Euro. Dal 21 gennaio), a cura di Luciano Tirinnanzi.
Nel volume si approfondiscono la nascita, le evoluzioni e la fine del movimento politico, ma soprattutto le ragioni dell’influenza che il PCI ha avuto nella nostra società, dalla politica alla cultura, dalle relazioni internazionali ai diritti civili, dalla comunicazione all’arte.
“Eravamo comunisti” (Rubbettino, pp.112, 13 Euro; con la prefazione di Giuliano Amato e le postfazioni di Biagio De Giovanni e Salvatore Veca) è il nuovo libro di Umberto Ranieri, una riflessione profonda sulla storia del PCI a 100 anni dalla fondazione. Il volume, oltre a offrire il racconto dei momenti cruciali della trasformazione del partito negli anni, riflette su quanto il mito sovietico abbia determinato nei comunisti italiani l’impossibilità di assumere responsabilità di governo, rappresentando di fatto un ostacolo per la strada del socialismo democratico. Ranieri si sofferma anche su alcune alternative che avrebbero potuto essere percorse durante la grande stagione del riformismo.
“Dalla rivoluzione alla democrazia. Il cammino del partito comunista italiano 1921-1991” (Donzelli, pp.270, 19 Euro) è il libro scritto da Piero Fassino per raccontare, con lo sguardo di chi per lungo tempo lo ha vissuto dal di dentro, i 70 anni nei quali il Pci è stato protagonista di ogni passaggio della vita politica e sociale dell’Italia, dalla nascita nel 1921 alla cessazione delle attività avvenuta il 3 febbraio 1991. L’autore – protagonista, fin dagli anni della Fgci torinese nel ’68, della vicenda del Pci prima, del Pds e del Pd poi – ripercorre con sguardo lucido tutte le fasi di un cammino complesso, fino agli ultimi anni che consentirono, seppure a costo di profonde lacerazioni, la formazione in Italia di un partito progressista nell’alveo del riformismo socialista europeo.
Da segnalare infine “Il partito della nazione“ nel quale Andrea Romano (professore di Storia contemporanea all’Università di Roma Tor Vergata e deputato del Partito Democratico) per “Paesi Edizioni” (pagg. 160, € 18,00) si interroga sul ruolo e sul futuro dell’eredità comunista nel centenario dalla fondazione. Che cosa ci manca e che cosa no del comunismo italiano? La storia del Pci è stata innanzitutto la storia d’Italia, colonna delle istituzioni democratiche della nostra repubblica e l’incarnazione italiana delle speranze e dei fallimenti del comunismo mondiale. Il libro racconta sinteticamente i passaggi più intensi e drammatici dei suoi settant’anni di storia: dalla scissione di Livorno nel gennaio del 1921, nel pieno della crisi sociale e politica del primo dopoguerra, alla connivenza con il terrore stalinista; dalla rinascita su nuove basi nel corso della Resistenza al rapporto contraddittorio con l’Europa; dal ruolo dei capi nel culto comunista della politica all’eredità di Togliatti e Berlinguer. Infine il libro traccia la parabola di un percorso politico per rispondere alla domanda se il comunismo è ancora presente nel Partito Democratico.
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