di DOMENICO MACERI* – “La faccenda di elettori trasportati in pullman dal Massachusetts per votare nel New Hampshire è nota a tutti”. Con queste parole Stephen Miller, consigliere di Donald Trump, ripeteva l’asserzione del suo capo sui presunti voti illegali a George Stephanopoulos della Abc. Senza ricevere conferme da Miller, Stephanopoulos ha concluso l’intervista dicendo che nessuna prova è stata fornita per fare chiarezza ai suoi telespettatori. Trump aveva ripetuto la stessa falsità in una riunione con senatori repubblicani. Secondo il 45° presidente americano, senza i voti illegali sia lui sia la candidata repubblicana al Senato Kelly Ayotte avrebbero vinto nel New Hampshire. Si tratta di accuse senza prove, secondo Bill Gardner, il segretario del New Hampshire, incaricato delle elezioni nel suo Stato. Ambedue, Trump e Kelly, avrebbero potuto richiedere un riconteggio dei voti ma non lo hanno fatto.
La sconfitta nel voto popolare brucia a Trump che ha ripetuto la bufala dei voti illegali parecchie volte promettendo un’investigazione sulla questione. E che la notizia del voto popolare non sia scomparsa dalla circolazione ci conferma non solo l’insicurezza di Trump sulla sua “incompleta” vittoria ma anche una strategia per accelerare la esclusione dei gruppi minoritari in future elezioni.
La bufala dei voti illegali come trampolino per la privazione del voto all’elettorato scomodo è uno strumento classico dei repubblicani. Ventuno Stati hanno recentemente introdotto disegni di legge che limiterebbero il voto colpendo ovviamente i gruppi etnici minoritari. Con la scusa della frode elettorale questi Stati, dominati da legislazioni repubblicane, renderebbero il voto più difficile limitando le giornate in cui è possibile votare come pure richiedendo ulteriori documenti per provare il diritto al voto.
Il metodo più “efficace” per la privazione del voto è il requisito della carta d’identità richiesta da 32 Stati per votare. Ottenere questo documento non è facile per i più poveri per ragioni burocratiche. Secondo uno studio 300 mila cittadini eleggibili in Wisconsin non sono in possesso di carta d’identità. Considerando il fatto che Trump ha sconfitto Hillary Clinton nel Badger State con un margine di 23 mila voti si può capire perché i democratici credono che più democrazia c’è in America meglio è per loro e ovviamente per il Paese. I repubblicani, invece, che controllano il potere esecutivo e legislativo in Wisconsin, la vedono diversamente.
La leggenda della frode elettorale continua a crescere grazie alle frequenti dichiarazioni di Trump, ma i fatti ci dicono che il voto in America è quasi totalmente privo di inciuci. Secondo uno studio della Loyola Law School di Los Angeles, su un miliardo di voti solo trentun casi di frode sono stati rilevati. Quando un caso rarissimo viene a galla le pene sono severissime. Una residente legale di origine messicane ha votato illegalmente in Texas ma è stata scoperta e condannata a sedici anni di carcere e una multa di 5 mila dollari. La donna ha votato nelle primarie repubblicane e ha sostenuto Trump anche nell’elezione generale.
In uno certo senso Trump e i repubblicani hanno ragione. La frode elettorale in America esiste e si chiama privazione del voto, che ha profonde radici specialmente nel sud. Dopo l’emancipazione degli afro-americani a conclusione della Guerra Civile nel 1865 le leggi locali e statali di Jim Crow continuarono la discriminazione razziale imponendo severi limiti ai diritti civili. Negli anni 60, per esempio, un afro-americano aveva bisogno dell’appoggio di un bianco benestante per iscriversi alle liste elettorali dell’Alabama.
Il Civil Rights Act del 1964 contribuì notevolmente a ridurre la discriminazione razziale eliminando molti degli ostacoli all’esercizio del voto. Sfortunatamente, nel 2013 la Corte Suprema americana ha indebolito i provvedimenti di questa legge citando i progressi già fatti.
Si tratta di un passo indietro per la democrazia americana che sotto alcuni aspetti non viene applicata totalmente anche per il prevalente cinismo dei politici e per le inefficienze del governo, auspicate soprattutto dai repubblicani. Alle elezioni presidenziali del 2016 solo il 55 per cento degli americani ha votato e in quelle di midterm del 2014 la cifra era scesa addirittura al 37 per cento. Il problema in America non è la frode elettorale ma il fatto che molti americani, specialmente membri dei gruppi minoritari, non votano.
Questa situazione avvantaggia i repubblicani ma le nuvole dei cambiamenti demografici rappresentano sfide per il Gop, che continua a basare le sue vittorie sui voti degli elettori bianchi, la cui percentuale però continua a diminuire. Nel 2000 i bianchi rappresentavano il 78 per cento dell’elettorato mentre nel 2016 sono stati solo il 69 percento. Secondo previsioni del Pew Research Center questo trend continuerà, sicché nel 2055 i bianchi rappresenteranno il 46 per cento dell’elettorato e il 54 per cento andrà ai gruppi minoritari. L’altra ombra per i repubblicani viene rappresentata dai millennials, i giovani nati dopo il 1980, i quali tendono ad essere più liberal dei loro padri e nonni.
Alle elezioni del 2016 Trump è riuscito a vincere soprattutto con il supporto dei bianchi. Per continuare ad avere successo al livello presidenziale i repubblicani dovranno continuare a ridurre il numero di elettori dei gruppi minoritari con la privazione del voto oppure creando alleanze con alcuni dei gruppi minoritari che fino ad ora sono in grande misura nel campo dei democratici.
La limitazione del voto è una macchia per il nostro sistema democratico. L’altra ombra sull’elezione del 2016 arriva dal presunto hackeraggio russo, che però è una questione che richiede un’analisi più approfondita.
*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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