di DOMENICO MACERI* – “Ho dato disposizioni al Department of Homeland Security di controllare con grande attenzione tutti coloro che vogliano entrare nel nostro Paese”. Lo ha affermato Donald Trump reiterando la sua grande ansia che quelli “di fuori” possano entrare negli Stati Uniti per farci male. Trump aveva già espresso grande ansietà nel discorso della accettazione della nomination repubblicana e l’aveva reiterata nel discorso di insediamento. La paura si rifaceva al suo annuncio di divieto di ingresso a tutti i musulmani durante la campagna presidenziale. Da presidente ha cercato di mettere in pratica, anche se parzialmente, quel bando poche settimane fa con un ordine esecutivo che il potere giudiziario ha bloccato. Avendo perso, Trump ne ha emesso un altro meno duro, che include il divieto di ingresso a sei invece di sette Paesi a prevalenza musulmania lasciando fuori l’Iraq. Anche questo bando-bis è stato bloccato in parte da un giudice del Wisconsin e da un altro dello Stato delle Hawaii.
L’ansia interpretata da Trump ha ovviamente avuto un effetto in tutto il Paese e ha imbaldanzito le forze dell’ordine che si sentono autorizzare ad essere più aggressive nei controlli. Muhammad Alì junior, figlio della leggenda della boxe, è stato trattenuto ed interrogato per parecchie ore il 7 febbraio al ritorno dalla Giamaica. Secondo la ricostruzione dell’accaduto gli agenti gli hanno chiesto se fosse musulmano e come mai avesse quel nome. Poche settimane dopo è stato di nuovo trattenuto per una ventina di minuti all’aeroporto di Washington D.C. prima di imbarcarsi su un volo per Fort Lauderdale, Florida.
Il famosissimo pugile ed il figlio non sono gli unici musulmani che tutti gli americani conoscono. Ce ne sono molti altri forse meno noti e poi ovviamente altri americani di fede musulmana che hanno dato la loro vita per l’America in diverse guerre. Si ricorda il capitano Humayun Khan che diede la sua vita in Iraq per salvare quella di decine di americani ricevendo la prestigiosa medaglia Gold Star. Khzir, il padre di Humayun, ha fatto un discorso alla convention democratica ricordando il sacrificio del figlio.
L’aggressività delle forze dell’ordine non si limita a coloro che hanno nomi poco “americani” ma investe anche altri per ragioni poco comprensibili. Mem Fox, la nota autrice australiana di libri per bambini che spesso trattano della tolleranza e dell’accettazione, è stata recentemente trattenuta dalle guardie di frontiera all’aeroporto di Los Angeles per parecchie ore. La settantunenne Fox ha visitato gli Stati Uniti più di cento volte ma questa situazione l’ha sconvolta descrivendo il caso come “mostruoso” ed esprimendo la sua preoccupazione per altri individui che non possiedono le sue risorse e che a volte non parlano inglese.
Il clima di ansia non si limita alle frontiere ma si nota dentro il Paese. In modo particolare ne risentono i clandestini, spaventati dalle retate messe in pratica dall’Ice, l’agenzia incaricata dell’immigrazione. Spicca in particolare l’arresto e l’eventuale deportazione di un padre che stava portando la figlia a scuola la quale ha testimoniato la scena del padre in manette piangendo a dirotto. Non è l’unico caso ma disturba di più la tensione per tante altre famiglie i cui figli vanno a scuola senza sapere se i genitori saranno a casa al ritorno. Per mantenere una certa sicurezza familiare in caso di deportazione alcuni genitori hanno firmato procure con parenti o amici affidando loro la responsabilità e autorità di occuparsi dei loro figli in caso di separazione.
La tensione è divenuta visibile anche con l’aumento del 6 per cento di crimini d’odio. Secondo l’Huffington Post l’anno scorso 38 atti anti-musulmani sono stati dichiarati fra aggressioni verbali ed abusi fisici. In un cimitero ebraico di St. Louis, Missouri, più di cento lapidi sono state vandalizzate. La National Suicide Prevention Lifeline, un’organizzazione che cerca di prevenire i suicidi con servizio telefonico 24 ore al giorno, ci informa anche di un picco di chiamate simile a quello dell’11 settembre.
Non si vuole dire che il presidente sia responsabile per questi specifici episodi, ma la sua aspra retorica in campagna elettorale e anche dopo l’elezione non ha calmato le acque. Dopo molte pressioni, però, Trump ha dichiarato che l’aumento dell’antisemitismo “deve finire”. Troppo poco. Il presidente potrebbe parlare agli americani incoraggiando tutti a trattare la gente con umanità. Potrebbe anche parlare delle diversità etniche e dell’immigrazione come fonte di forza per il Paese, come fanno spesso i politici. Invece silenzio completo di Trump al riguardo.
Trump non condanna questi atti di odio perché legato a Steve Bannon, il suo stratega, noto suprematista ed ex direttore di Breitbart News, sito internet di notizie di ultra destra, le cui teorie di complotti sono notissime. Trump ha abbracciato queste teorie facendo della paura uno strumento politico efficace. Spaventandoci, i politici si offrono come nostri unici salvatori con soluzioni semplicistiche per risolvere problemi inesistenti o, al contrario, richiedenti risposte complesse in un mondo dove la paura va tenuta a bada.
*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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