di LUCA DELLA MONICA – Una bellezza mediterranea affascinante, una brillante carriera universitaria, un avvenire destinato ad essere luminoso. E invece Maria Rita Logiudice, 25 anni, domenica scorsa si è lanciata dal quinto piano di casa sua a Reggio Calabria. L’ipotesi, in cui crede anche il capo della Procura distrettuale antimafia della città calabrese, Federico Cafiero de Raho, è che il suo terribile gesto sia la conseguenza di uno stato d’animo, di una sofferenza che le era cresciuta dentro da quando ha avuto la sensazione che intorno a lei si stesse creando una cortina di diffidenza, un tentativo di isolarla per il cognome che portava, il cognome di esponenti della ’ndrangheta, alcuni dei quali in carcere.
E proprio questo magistrato ha detto che la morte di Maria Rita “è un fatto gravissimo”. E ha aggiunto: “Credo che debba toccare la coscienza di tutti, perché credo che siamo tutti responsabili di fatti come questo. Eppure – ha detto Cafiero de Raho – l’abbiamo persa perché non abbiamo avuto la sensibilità di comprendere che ci sono momenti in cui tutti devono concorrere. Ho parlato con il prefetto, con il presidente della Corte d’Appello Luciano Gerardis, con don Luigi Ciotti, con padre Giovanni Ladiana, con tutte le persone che mi sembrano particolarmente sensibili. Lo stesso don Ciotti mi ha chiamato con le lacrime agli occhi. E’ un fatto di una gravità senza pari. Se noi perdiamo queste occasioni – ha detto ancora Cafiero de Raho – per recuperare la libertà, l’onestà, l’etica, non abbiamo più nessuna speranza per il nostro futuro. Se diciamo ai ragazzi cambiate vita, e poi quando cambiano vita li isoliamo, li emarginiamo, non diamo nessun sostegno”.
La giovane non ha lasciato alcun biglietto. Dai verbali depositati dai carabinieri e contenenti le dichiarazioni del fidanzato, gli amici e le persone vicine alla famiglia, sembrerebbe chiaro che il gesto sia stato scatenato da quel peso troppo grande da sopportare. Quello di un cognome macchiato per sempre: il padre e altri zii si trovano in carcere per mafia; uno zio, ora collaboratore di giustizia, è stato a capo di uno dei clan più potenti: quello dei Logiudice, per l’appunto. Il prefetto Michele Di Bari ha convocato un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica con l’obiettivo di attivare un focus sul disagio sociale che vivono alcuni giovani appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta.
Sul caso stanno ancora indagando magistratura e carabinieri. In molti c’è incredulità persino sul suicidio e sulle sue circostanze, tant’è che i parenti hanno chiesto che sul corpo di Maria Rita sia effettuata l’autopsia.
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