di RAFFAELE CICCARELLI*/ Per la seconda volta consecutiva è l’italiano la lingua che si parla nello spogliatoio della squadra campione d’Inghilterra. Dopo la grande sorpresa della vittoria dell’”under dog” Leicester guidato da Claudio Ranieri, si è appena laureato campione della Premier League il più canonico Chelsea allenato da Antonio Conte. Due tecnici italiani, con in comune idioma e Paese d’origine, ma diametralmente opposti nella loro visione di calcio. Solo Ranieri, con il suo calcio profumato ancora d’antico, con una gestione “umana”, paternalistica e familiare, poteva probabilmente riuscire nell’impresa di portare il Leicester al vertice del calcio inglese. Mai ci sarebbe potuto riuscire, in quel contesto, Antonio Conte, guru del calcio intenso, spasmodicamente concentrato sull’obiettivo finale, invasato della vittoria, che ha bisogno di grandi giocatori per puntare ad essa, pretendendo da loro dedizione totale, abnegazione assoluta in campo.
Un Conte alla Sacchi. Un modo di intendere il calcio di vertice molto europeo, che avvicina Conte alla concezione primigenia di Arrigo Sacchi, non riferendoci ai dogmi tattici, naturalmente, ma alla stesso punto di origine “filosofico”, quello dell’”intensità” tanto caro al profeta di Fusignano. Per certi versi lo stesso credo calcistico di Josè Mourinho, se vogliamo, anche se per il portoghese i giocatori diventano soldati che devono ciecamente annientare (calcisticamente) gli avversari nelle vere e proprie guerre che scatena il loro allenatore. “Intensità”, “pressing”, “movimento continuo” sono le parole mantra di Antonio Conte che rispetto ai suoi colleghi similari nella concezione riesce a mettere qualcosa di diverso: l’amore della gente. Il leccese, con il suo modo di vivere la partita, il suo essere il primo giocatore della sua squadra e non il distaccato allenatore, non può che attirarsi le simpatie e l’amore delle folle, che hanno bisogno di questo tipo di eroi in cui identificarsi.
Tecnico e capopopolo. Nessuno può contestare curriculum vincenti dei già citati Sacchi e Mourinho, mai assurti ad eroi delle proprie tifoserie, troppo distaccato l’uno, troppo arroccato in se stesso e perennemente in guerra con il mondo l’altro. Ci sarebbero Pep Guardiola e Carletto Ancelotti: vincenti sicuramente, “filosofo” perciò lontano dalle masse il primo, bonario capo delle sue truppe il secondo, più vicino a Conte sicuramente, ma meno “imbonitore delle folle”. Antonio Conte vince la Premier League al primo tentativo dopo le tre vittorie consecutive alla guida della Juventus e il rilancio della Nazionale italiana dopo i disastri del mondiale brasiliano, vince affermando la bontà della scuola tecnica italiana, dell’”Università di Coverciano”, già vincente in questa stagione con lo stesso Ancelotti al Bayern Monaco, con quella tricolore che si dimostra la scuola guida in Europa e nel Mondo a livello tecnico tattico. Vince il trascinatore Conte, quello che si arrampica sulle panchine e si tuffa in mezzo ai tifosi, vince l’allenatore del popolo.
*Storico dello sport
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