Nel reality “The Apprentice” i telespettatori hanno sentito moltissime volte “You’re fired” (sei licenziato) uscire dalla bocca di Donald Trump mentre poneva fine, faccia a faccia, ai sogni dei concorrenti. Il 45° presidente Usa, però, ha licenziato James Comey, direttore della Fbi, senza guardarlo in faccia, scegliendo invece di usare un’e-mail e una lettera consegnata da una fidatissima guardia del corpo per informare la Fbi. Comey si trovava a Los Angeles e seppe della decisione dalla televisione.
I retroscena del licenziamento hanno creato confusione intorno alla Casa Bianca, ma tutto fa credere che Comey sia stato licenziato per l’indagine della Fbi sul Russiagate. La prima spiegazione emersa dai portavoci di Trump sul licenziamento ha citato informazioni ricevute dal Dipartimento di Giustizia. Un memorandum scritto da Jeff Sessions, procuratore generale, citava un’analisi fatta dal suo vice Rod Rosenstein, che definiva pessimo il lavoro fatto da Comey sullo scandalo delle e-mail di Hillary Clinton. Sessions nella sua comunicazione ha segnalato a Trump che la Fbi ha bisogno di una “nuova leadership”. Comey sarebbe stato licenziato per queste sollecitazioni.
Il giorno dopo però, Trump, in un’intervista concessa a Lester Holt della Nbc, ha dichiarato che la sua decisione su Comey non era dovuta alle raccomandazioni del Dipartimento di Giustizia. Era tutta sua, dato che Comey è solo uno “che si mette in mostra, che vuole attirare l’attenzione” e che il Fbi durante l’anno scorso era stato “in subbuglio”.
Difficile credere alla spiegazione del Dipartimento di Giustizia come pure a quella di Trump, che ha contraddetto i suoi portavoce dando l’impressione che di improvvisare le risposte, incapace di comunicare con i suoi collaboratori. Durante l’elezione del 2016 Comey aveva ovviamente fatto un grosso sbaglio non mantenendo il tipico riserbo del Fbi sulle inchieste in corso commentando lo status delle indagini sulle e-mail di Hillary Clinton nel mese di luglio. L’inchiesta sulle e-mail aveva rilevato un comportamento “estremamente negligente”, ma non talmente serio da incriminarla, secondo Comey. Poche settimane prima dell’elezione il direttore del Fbi annunciò di nuovo che altre e-mail pertinenti erano state scoperte le quali furono analizzate. In un successivo intervento una settimana prima del giorno del voto Comey chiarì che non smentivano le conclusioni precedenti fatte nel mese di luglio.
Trump avrà concluso che Comey si era fatto nemici fra i democratici e tra i repubblicani e quindi nessuno avrebbe preso le sue difese. Il problema però sono i sospetti che la decisione sia stata basata sul fatto che Trump voleva porre fine all’indagine sulla interferenza russa nell’elezione americana. Eliminando il direttore, che insisteva sulle indagini del Russiagate, sarebbe un metodo per mettere fine a ciò che Trump ha chiamato “fake news” stimolate dai democratici, delusi, secondo lui, per avere perso l’elezione.
Il licenziamento di Comey, spiegato e giustificato malissimo, continua a confermare l’approccio di governare di Trump, poco diverso da quello della sua campagna elettorale e soprattutto molto simile a quello delle sue attività imprenditoriali. Trump è il capo e licenzia chi vuole e quando vuole. Il problema però nel governo è la presenza dei contrappesi che ostacolano le tendenze dittatoriali del 45esimo presidente ed infatti di qualunque altro residente della Casa Bianca. Trump, per esempio, aveva cercato di bloccare l’inchiesta del Russiagate suggerendolo a Comey in uno dei loro incontri privati. Secondo fonti del New York Times, alcuni individui hanno letto appunti presi e mantenuti da Comey dopo i suoi incontri con Trump. Vi si legge che Trump aveva chiesto al direttore della Fbi di lasciare perdere l’inchiesta su Michael Flynn, l’allora consigliere per la sicurezza nazionale, e Russiagate.
Il licenziamento di Comey sarà stato un tentativo di bloccare l’inchiesta sui legami tra la campagna di Trump e la Russia. Non ha avuto successo perché ha aumentato la determinazione del Fbi di andare in fondo per scoprire tutti i dettagli. Lo ha confermato il direttore ad interim del Fbi Andrew McCabe, il quale ha anche lodato la leadership di Comey dando un’altra stoccata alla malaugurata decisione di Trump.
Ad aggiungere fuoco ai sospetti sui legami di Trump con i russi ha contribuito ovviamente anche la notizia venuta a galla quasi simultaneamente che nel suo incontro con il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, Trump gli avrebbe rivelato informazioni segrete.
La settimana disastrosa di Trump dopo il licenziamento di Comey non poteva finire peggio dato che il vice procuratore Rod Rosenstein ha annunciato la nomina di Robert Mueller, direttore del Fbi dal 2001 al 2013, a procuratore speciale sul Russiagate. Allo stesso tempo continueranno le inchieste delle commissioni alla Camera e al Senato. Trump da parte sua si rifugia nel suo mondo attaccando i media e i suoi nemici, come ha fatto in un discorso alla consegna dei diplomi della Guardia Costiera dove ha detto che nessun presidente nella storia americana è “stato trattato peggio di lui”. Il clima alla Casa Bianca continua a suggerire tensione e ci sono già delle voci che il 45° presidente si stia apprestando a cambiare strada addossando la colpa dei suoi problemi al suo staff. Se questa situazione fosse una delle sue aziende in procinto di bancarotta ci perderebbe lui solo. In questo caso a pagare le spese saranno tutti gli americani.
Trump non sa, né può, cambiare il suo modo di governare. Ecco perché l’ipotesi di impeachment, caldeggiata dalla maggioranza degli americani (48 per cento favorevoli, 41 percento contrari), continua a farsi sempre più insistente.
*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California (dmaceri@gmail.com)
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