Sul pasticcio, tipicamente renziano, della riforma della Rai il commento più calzante è quello del costituzionalista Michele Ainis (foto) sul “Corriere della sera”. Il quale parla di una doppia “sceneggiata: «quella imbastita dalla minoranza della maggioranza, votando insieme alla maggioranza della minoranza sul finanziamento della tv di Stato», o anche quella del governo. «Che aveva detto: mai più vertici Rai eletti con la legge Gasparri, e infatti il 4 agosto i nuovi vertici verranno eletti applicando la Gasparri. Da chi? Dalla commissione parlamentare di Vigilanza, dove intanto i centristi chiedono un riequilibrio. Tradotto: più posti in Vigilanza per incassare posti nel prossimo cda».
È la legge sempiterna della televisione pubblica – dice Ainis – e spiega: «si chiama lottizzazione, una lotteria dove ogni partito ha in tasca il biglietto vincente. Nel corso dei decenni è cambiato il nome dei partiti, ma resta sempre attuale la battuta confezionata ai tempi di mamma Dc: “In Rai hanno assunto cinque giornalisti: due democristiani, un socialista, un comunista e uno bravo”. È cambiato, inoltre, il numero dei consiglieri d’amministrazione: prima 6, poi 16 con la riforma del 1975, poi 5 dal 1993, poi 9 dal 2004, ora diventeranno 7. Insomma, la politica continua a dare i numeri, ma alla Rai servirebbe invece una parola, una soltanto. L’indipendenza. È quest’attributo, infatti, che giustifica l’esistenza del servizio pubblico radiotelevisivo… E l’indipendenza si applica, anzitutto, nei riguardi del governo. Come? Proteggendo dai suoi artigli il direttore d’orchestra. Altrimenti la Rai dovrà suonare uno spartito dettato dal partito (di governo)».
Qui però – fa notare Ainis – cominciano le dolenti note. E le elenca: «Già la legge Gasparri consegna all’esecutivo la scelta di 2 membri su 9 del consiglio d’amministrazione. Rendendolo così quasi indipendente dal governo, e celebrando perciò l’ossimoro, perché l’indipendenza o c’è o non c’è, come la gravidanza: nessuna donna è mai stata quasi incinta. La legge Renzi trasforma la semi-indipendenza in semi-dipendenza, dato che i consiglieri d’estrazione governativa salgono in percentuale (2 su 7). Di più: con questa legge, sempre il governo propone il direttore generale, che avrà i poteri di un amministratore delegato. Bene, se il nuovo ruolo saprà garantire un’iniezione d’efficienza. Male, perché in nessun grande Paese europeo il vertice dell’emittente pubblica costituisce un’emanazione dell’esecutivo».
La l’indipendenza per mantenersi in salute ha bisogno di molte medicine, nessuna esclusa. Secondo l’articolista del Corriere della sera la prima è la durata dell’incarico di coloro che gestiscono la Rai. E fa i riferimenti agli altri paesi: «Il nuovo cda della Rai, scadrà dopo 3 anni. Troppo poco, quando in Germania e in Francia la durata è 5 anni, in Austria e in Belgio 6, in Inghilterra e altrove non incontra limiti di tempo. E troppe riforme sul capezzale della tv di Stato, troppi custodi che s’intralciano a vicenda (dalla Vigilanza all’Autorità per le comunicazioni, dalla Consulta all’Antitrust). L’indipendenza, affinché sia praticata con successo, esige regole stabili, certe, e se possibile omogenee».
E queste regole – lascia intuire Ainis – non sono contemplate nella riforma che il governo Renzi vuole imporre. Lui non lo scrive esplicitamente, noi possiamo tranquillamente dedurlo.
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