di ROMANO LUSI/
Un drammatico messaggio arriva – per chi usa la parola “accoglienza” con superficialità e senza valutarne le conseguenze pratiche – dalla Grecia, cioè dal paese europeo che in questo momento a la situazione economia e sociale più disastrata persino dell’Italia. Il messaggio è nelle immagini di ciò che sta accadendo sull’isola greca di Kos: qui ogni giorno, come da noi in Sicilia, arrivano tra i 600 e gli 800 migranti. In questo momento ve ne sono settemila da identificare e si sono ribellati alla polizia o perché non vogliono essere identificati o perché l’attesa avviene in condizioni di disagio e di precarietà. Le loro ragioni saranno senz’altro valide ma altrettanto validi sono i motivi di malessere della popolazione locale e delle forze di polizia che devono fronteggiare questa terribile emergenza. E’ ciò che in effetti viene detto da più parti anche in Italia: c’è chi lo fa sommessamente nel timore di essere accusato stoltamente di razzismo e c’è chi lo dice in termini crudi ma realistici: di qui lo scontro che c’è stato (e c’è ancora) tra la Lega e le prediche dei vescovi, ai quali il governatore del Veneto, Zaia, ha consigliato di ascoltare i parroci, che sono a più diretto contatto con la gente.
Ieri dunque violenti scontri sono scoppiati in Grecia tra i migranti e la polizia sull’isola di Kos, tanto che il sindaco Giorgos Kyritsis, ha lanciato un appello chiedendo l’assistenza immediata da parte del governo per affrontare la situazione delle migliaia di rifugiati che si sta progressivamente deteriorando. Kyritsis ha avvertito che, se non verranno presi subito rimedi, “la situazione sfuggirà di mano e scorrerà il sangue”.
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