La Corte d’Assise d’Appello di Brescia ha confermato la condanna all’ergastolo di Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio emessa in primo grado. La moglie di Bossetti, Marita Comi, non è riuscita a trattenere le lacrime: la donna era in aula con gli avvocati e la madre dell’imputato. Prima che Bossetti fosse riportato in carcere ha salutato la suocera, Ester Arzuffi, e la sorella Laura.
Bossetti, all’inizio delle sue dichiarazioni spontanee nel processo d’Appello a Brescia, ha voluto rivolgere un “sincero pensiero” a Yara. “Poteva essere mia figlia, la figlia di tutti noi – ha detto Bossetti – Neanche un animale avrebbe usato tanta crudeltà”.
Bossetti ha chiesto scusa per “il comportamento scorretto” tenuto nella prima udienza quando era sbottato alle affermazioni del sostituto pg. “Pensate però come può sentirsi una persona attaccata con ipotesi fantasiose e irreali”, ha detto, leggendo dei fogli estratti da una cartella rossa. Dopo le dichiarazioni del muratore, che si è sempre proclamato innocente, i giudici si riuniranno in camera di consiglio per la decisione.
Nelle sue dichiarazioni spontanee Bossetti ha detto di essere vittima “del più grande errore giudiziario di tutta la storia“. Il muratore ha anche stigmatizzato il modo con cui fu arrestato: “C’era necessità di scomodare un esercito e umiliarmi davanti ai miei figli e al mondo intero?”. Ha poi aggiunto che, quando fu fermato nel cantiere in cui lavorava (e i momenti del fermo furono filmati) si sentì “una lepre che doveva essere sbranata da innumerevoli cacciatori”. “Perchè, perchè, perchè?” ha detto il muratore. E girandosi verso il pubblico in aula per poi tornare ai giudici, ha detto: “Io non sono un assassino, mettetevelo in testa”.
“Quando i miei figli vengono a trovarmi mi chiedono: papà, quando torni a casa? Non c’è un’altra porta per uscire?“. Bossetti ha fatto leva sulla mozione degli affetti nelle sue dichiarazioni spontanee al processo d’appello per l’omicidio di Yara Gambirasio. E rinnovando il suo amore per la famiglia ha spiegato: “Ai miei figli dico: non uscirò da un’altra porta: uscirò a testa alta dallo stesso, immenso portone da cui sono entrato”.
Bossetti a vigilia verdetto, voglio nuovo Dna – Massimo Bossetti ha preso la parola davanti ai giudici della Corte d’assise d’appello di Brescia chiamati a decidere sul suo destino. Come già fatto in primo grado, il muratore, 46 anni, sposato e con tre figli, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, ha dichiarato di essere innocente nelle speranza che, come dicono i suoi legali, “qualcuno finalmente gli dia retta”.
“Da tre anni invoco la mia innocenza, da tre anni chiedo anche tramite i miei avvocati l’unica cosa che può consentire di difendermi, la perizia in contraddittorio sul Dna. Posso marcire in carcere per un delitto atroce che non ho commesso senza che mi sia concessa almeno questa possibilità?”, ha scritto Bossetti Bossetti a un quotidiano: “Confido che finalmente sia fatta Giustizia e io possa tornare a riabbracciare i miei cari da uomo libero e innocente quale sono, anche se ho una vita stravolta e comunque segnata per sempre. Lo spero io, lo devono sperare i giudici, sono convinto che lo speri Yara da lassù, almeno fino a quando il suo vero assassino che è ancora libero e sta ridendo di me e della Giustizia, sconterà la giusta pena”.
Quindi, dopo le sue parole è cominciata la lunga attesa per la sentenza. La corte d’appello, presieduta dal giudice Enrico Fischetti, non ha accolto la richiesta del pg Marco Martani, che aveva chiesto anche 6 mesi di isolamento in carcere per l’accusa di calunnia ai danni di un suo collega di lavoro verso il quale avrebbe cercato di indirizzare le indagini. Accusa dalla quale il muratore era stato assolto in primo grado.
I difensori di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, hanno annunciato che ricorreranno in Cassazione contro questa condanna, che considerano un momento triste per la Giustizia perché è stata negata ostinatamente la richiesta di una superperizia sul Dna trovato sui resti di Yara e attribuito all’imputato tre anni dopo l’assassinio.
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