OSSERVATORIO AMERICANO/ Trump e i repubblicani sempre più lontani

di DOMENICO MACERI* – “I repubblicani al Senato non vinceranno MAI (sic) se non cambiano il sistema della semplice maggioranza di 51 voti. Fanno la figura degli stupidi e perdono il tempo”. Con queste parole Donald Trump ha rimproverato l’incapacità dei repubblicani al Senato di revocare Obamacare considerando le defezioni di tre senatori del Gop.

Trump si sbaglia. Il Senato aveva bisogno solo di una maggioranza di 51 voti per approvare la riforma, dato che si stava usando un meccanismo legislativo chiamato “reconciliation” (riconciliazione) che permette di approvare leggi che modificano il bilancio oltrepassando il possibile ostruzionismo dei 60 voti richiesti per le leggi normali.
Non è raro che Trump si sbagli o esprima valutazioni lontane dalla verità. Evidentemente arrabbiato per la sconfitta legislativa, il 45esimo presidente ha minacciato di bloccare i sussidi garantiti da Obamacare per tutti gli americani ma anche per i membri delle due Camere e i loro staff, che li usano. Si tratterebbe anche di punire le compagnie di assicurazione dato che Trump vede questi sussidi come “salvataggio” per queste aziende senza capire che la sua minaccia, probabilmente illegale, potrebbe danneggiare i poveri che perderebbero la copertura medica.

Gli attacchi ai legislatori repubblicani sottolineano la crescente distanza di Trump dall’establishment del suo partito. Ce lo dimostra anche il licenziamento di Reince Priebus, il capo dello staff della Casa Bianca, rimpiazzato dal generale John Kelly, già ministro della Homeland Security (Sicurezza nazionale). In un certo senso Priebus aveva dovuto servire da collante con le due Camere ma la mancanza di successi legislativi ha convinto Trump che qualcosa doveva cambiare. Ovviamente, il caos alla Casa Bianca durante le ultime settimane avrà anche spinto il 45esimo presidente a ricominciare daccapo.
Una svolta doveva essere avvenuta con l’assunzione di Anthony Scaramucci a direttore della comunicazione. Subito dopo, Sean Spicer, portavoce di Trump, si è dimesso. Scaramucci, da parte sua ha cominciato ad agire da mini-Trump usando attacchi volgari verso Priebus e Steve Bannon, che però hanno segnato la fine  del suo incarico in meno di due settimane. Spicer, Priebus e Scaramucci: tre membri ai vertici della Casa Bianca cacciati via in una decina di giorni.

I legami di Trump con il suo partito si sono logorati in parte per i suoi attacchi e minacce ad altri collaboratori. Con l’ombra del Russiagate sempre più viva, Trump ha dato il via a una serie di tweet attaccando Jeff Sessions, procuratore generale, il quale si era ricusato dalle inchieste sull’interferenza russa nelle elezioni presidenziali americane. Il 45esimo presidente ha attribuito la colpa a Sessions, il quale con la sua ricusazione ha permesso a Rod Rosenstein, suo vice, di nominare Robert Mueller a procuratore speciale sul Russiagate. In alcuni dei suoi tweet Trump ha etichettato Sessions come “debole” e “tormentato”, incapace dunque di fare il suo lavoro. Nonostante le umiliazioni, Sessions non si è dimesso. Trump da parte sua ha anche attaccato l’obiettività di Mueller prospettando l’eventualità che lui lo potrebbe licenziare perché vede il Russiagate come una caccia alle streghe.

Le minacce di Trump non hanno avuto gli effetti desiderati. I repubblicani al Senato hanno già anticipato il loro sostegno a Sessions, il quale era stato loro collega  per venti anni. Quanto al possibile licenziamento di Mueller il senatore Lindsey Graham della South Carolina ha già criticato severamente Trump dicendo che una tale eventualità causerebbe la “fine della sua presidenza”. Inoltre, Graham e Cory Booker, senatore democratico del New Jersey, hanno ambedue presentato disegni di legge che legherebbero le mani a Trump nel caso che lui tentasse di licenziare Mueller. Licenziare il procuratore speciale è anche divenuto più difficile perché un grand giurì sul Russiagate è stato stabilito.  Avrebbe la capacità di emettere mandati, con richiesta di documenti e testimonianze  su giuramento che possono condurre a incriminazioni in caso di prove di un crimine o per falsa testimonianza.

I repubblicani alla Camera ed al Senato hanno accettato la tesi che la Russia ha interferito nelle elezioni americane, come  conferma il recente voto bipartisan in ambedue Camere per imporre sanzioni alla Russia. Trump ha firmato la legge, anche se ha espresso il suo disappunto per i cattivi rapporti che si sono venuti a creare fra gli Stati Uniti e la Russia, di cui ovviamente lui non si sente responsabile.

I leader dell’establishment repubblicano hanno sempre guardato Trump di traverso ma hanno accettato la sua vittoria dato che gli dovrebbe permettere di approvare leggi che loro  da parecchi anni vogliono introdurre. Ciononostante si sono accorti chiaramente che il 45esimo presidente non è completamente affidabile, anche considerando la sua mancanza di fiducia nei suoi dipendenti. L’attuale inquilino alla Casa Bianca si aspetta fedeltà dai suoi subordinati, ma si tratta solo di una strada a senso unico. Lui non avverte nessuna fedeltà, tranne che dai membri della sua famiglia.

L’assunzione del generale John Kelly a chief of staff  dovrebbe mettere ordine nel caos ai vertici della Casa Bianca, dove si sono formate tre fazioni: la sua famiglia (il genero Jared Kushner e la figlia Ivanka), i fedeli della campagna elettorale e le figure dell’establishment repubblicano. Questi tre gruppi non solo non cooperano tra loro ma spesso sono responsabili di fughe di notizie per avere la meglio sugli altri e ottenere i favori di Trump.

Riuscirà il generale Kelly a mettere ordine? Prima di essere licenziato, Scaramucci ha dichiarato che “Il pesce puzza dalla testa”. Vero. Il responsabile del caos alla Casa Bianca che ispira poca fiducia nell’establishment repubblicano è proprio Trump, che non riesce a controllare se stesso e la sua abitudine di usare i tweet per sfogarsi dall’ovvia insoddisfazione per la sua prestazione. Come ha scritto recentemente Robert Samuelson del Washington Post,  Trump sta mandando chiari segnali che, forse,  preferirebbe subire l’impeachment?

*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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