In questa rubrica ci sembra opportuno segnalare ai nostri lettori – per la lucidità dell’analisi – l’editoriale scritto da Marco Travaglio per “Il Fatto quotidiano” del 19 agosto sulle lezioni da trarre dalla strage di Barcellona. Il titolo originale è “La banalità del male“.
«Sulla parete del cesso detta web, mischiati a video grandguignoleschi della mattanza di Barcellona, qualcuno ha trovato il tempo per prendersela col nostro titolo “Macelleria catalana”: ignorandone l’etimologia, vi ha visto qualcosa di offensivo o di irriguardoso verso le vittime. Al contrario, “macelleria catalana” richiama l’espressione “macelleria messicana”, che indica un sovrappiù di crudeltà gratuita e vigliacca in un’azione di guerra, guerriglia o terrorismo. E ci è parsa il modo migliore per evitare la retorica dei titoli tutti uguali che creano assuefazione e descrivere l’ultimo modus operandi, anzi scannandi, di questi macellai che da qualche mese a questa parte hanno abbandonato persino le presunte “regole” della guerra e del terrorismo tradizionali, scagliando i loro furgoni a tutta velocità contro folle di persone inermi con l’unico scopo di falciare il maggior numero di vite umane, senz’alcun rischio per la propria. È una guerra-non-guerra globale, dove chiunque può colpire ovunque, senza bisogno di grandi risorse, armi e strutture. Una guerra-non-guerra che di primo acchito lascia annichiliti e fa sentire disarmati e impotenti, come i veleni di cui non si conosce l’antidoto. E che proprio per questo va analizzata a mente fredda, per cercare, se non rimedi risolutivi (che non esistono), almeno risposte efficaci (che esistono).
1) Il movente è l’ideologia jihadista, che si nutre di interpretazioni letterali o fantasiose del Corano per combattere l’Occidente in quanto tale, ma anche la gran parte del mondo islamico ritenuta troppo debole con gli “infedeli” (il maggior tributo di sangue agli attentati jihadisti l’hanno pagato i musulmani). Quindi chi continua a sragionare di “Islam contro Occidente” e “musulmani contro ebreo-cristiani” (a proposito: rambla viene dall’arabo ramlah, sabbia) fa il gioco dei macellai.
2) Le etichette dei jihadisti – al Qaeda, Isis, domani chissà – contano poco. Conta il carburante che le alimenta: una propaganda unilaterale sui crimini dell’Occidente (che purtroppo sono storia, anche recente) e sulla “democrazia” che pretendiamo di esportare in casa loro. Finora l’Occidente ha fatto di tutto per legittimare quella propaganda, scatenando guerre con la scusa di abbattere le dittature, ma solo quelle antioccidentali, mentre appoggiamo quelle “amiche”. Se vogliamo regalare altri adepti al jihadismo, seguitiamo pure a sostenere Assad, Al-Sisi, Erdogan, Putin, l’Arabia Saudita e gli sceiccati ed emirati del Golfo e a usare le fazioni islamiste in Nordafrica come pedine per i nostri doppi e tripli giochi.
3) Gli attentatori di ultima generazione non sono migranti sbarcati sui barconi, ma cittadini dei Paesi in cui colpiscono; o globetrotter del terrore con visto turistico o documenti falsi. Chi mescola terrorismo e immigrazione (che, intendiamoci, va disciplinata con rigore) non capisce nulla, o fa propaganda che confonde le acque e crea psicosi dannose, mentre servono ragione e freddezza.
4) Lupi solitari o branchi di macellai che fossero, i jihadisti che hanno insanguinato l’Europa nell’ultimo triennio non hanno, singolarmente presi, nulla di raffinato né di invincibile: colpiscono nel mucchio, sorprendendoci proprio per la rozzezza dei mezzi usati. Ma non è vero che i loro agguati siano del tutto imprevedibili. Anzi, molti dei loro bersagli, quelli che hanno creato più morti e più scalpore (dunque più ammirazione agli occhi degli altri fanatici), erano prevedibilissimi: la redazione di Charlie Hebdo, il Bataclan, gli Champs Elisées e l’Arco di Trionfo a Parigi; l’aeroporto di Bruxelles; il London Bridge e Westminster a Londra; la Manchester Arena durante il concerto di Ariana Grande; il mercatino di Natale a Berlino; la Promenade di Nizza; le Ramblas di Barcellona. Il che non vuol dire che tutti questi attentati fossero evitabili, ma certamente che almeno in molti casi non è stato fatto tutto quel che si poteva per prevenirli, o almeno ostacolarli.
5) Ancor più prevedibili degli obiettivi erano gli attentatori: non c’è stata strage in Europa che sia stata perpetrata da insospettabili. Tutte, diconsi tutte, si sono rivelate opera di soggetti schedati, talora addirittura pregiudicati, o comunque noti all’intelligence o alle forze dell’ordine del Paese colpito o di Stati alleati che li avevano segnalati, di solito invano, come “radicalizzati” e attivi anche per la web-propaganda jihadista.
È il caso anche di Barcellona: il diciottenne fuggitivo Moussa Oukabir postava già due anni fa su Facebook incitamenti a “uccidere gli infedeli e lasciare solo i musulmani che seguono la religione”. Che altro doveva fare il giovanissimo Moussa per insospettire l’intelligence spagnola? Conosciamo la risposta: i governi non hanno i mezzi per controllare tutti i radicalizzati che girano per l’Europa. Ma anche l’obiezione: se il terrorismo jihadista è la prima emergenza internazionale, che aspettano i governi europei a trattarla come tale, investendo i miliardi necessari nell’intelligence, nel controllo del territorio, nell’analisi, scambio e coordinamento delle informazioni?
Il New York Times rivela che l’Amministrazione Obama, un anno fa, aveva trasmesso al governo Renzi un dossier dettagliato sul coinvolgimento dei servizi di Al-Sisi nell’omicidio Regeni. E il trio Renzi-Gentiloni-Alfano fa spallucce: il primo addirittura fa sapere che “non occorreva la Cia per sapere del regime del Cairo”. Peccato che la Procura di Roma abbia continuato a fare inutili spole fra l’Egitto e l’Italia per raccogliere carte false e carta straccia. Vi prego: diteci che quel dossier l’avete insabbiato apposta. Così almeno nessuno sospetterà che non l’abbiate neppure letto. O, peggio, capito.»
Marco Travaglio, direttore “Il Fatto quotidiano“
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