Migliaia di migranti bloccati al confine tra Grecia e Macedonia hanno oltrepassato i blocchi della polizia e sono entrati nel Paese balcanico. I migranti hanno superato il filo spinato che marca il confine con la Grecia; diverse persone sono rimaste ferite quando la polizia ha cercato di fermare l’assalto alla frontiera in un altro punto del confine. Il caos è iniziato quando la polizia ha deciso di far passare un piccolo gruppo di migranti con bambini piccoli al seguito. La folla allora ha iniziato a premere e il gruppo è stato compresso contro il cordone di polizia. Molti bambini e donne, almeno una incinta, si sono accasciati al suolo – apparentemente svenuti – dopo aver passato il cordone. Molti profughi sono riusciti ad entrare dopo che la polizia avrebbe rinunciato ad intervenire, lasciando intendere un cambio di atteggiamento delle autorità di Skopje.
La polizia ha usato granate assordanti per cercare di bloccare il flusso di persone ma la maggior parte di loro si sono diretti verso la stazione ferrovia di Gevgelia.
Macedoni sbalorditi. Nelle ultime 24 ore in Macedonia sono entrati “826 profughi, di cui 163 minori; tra questi figurano 25 ragazzi senza genitori”. Lo dice all’ANSA Ivo Kotevscki, portavoce della polizia macedone. “Com’è possibile – dichiara – che questi ragazzi siano arrivati da soli fino a qui, perché le autorità greche non li hanno fermati?”. Kotevscki ha quindi confermato che le autorità al confine, quando lo ritengono opportuno, fanno passare piccoli gruppi di 200 persone. Ed è questo il momento più delicato perché la folla cerca di fare irruzione
Dopo una notte e una giornata di tensioni, le autorità macedoni avevano finalmente consentito a due gruppi di circa 200 migranti ciascuno, principalmente famiglie, di attraversare il confine che corre lungo la linea ferroviaria. L’intenzione, riferisce l’agenzia macedone Mia, è di dare la precedenza ai più deboli, donne, bambini e anziani, in proporzione alla capacità del Paese di “accoglierli e aiutarli”, ma senza quantificare.
La Commissione Ue, intanto, colta alla sprovvista dalla reazione di Skopje, ha messo le mani avanti dicendo di dovere ancora esattamente stabilire i fatti, ricordando di avere già assegnato 90mila euro di aiuti alla Macedonia e di avere in partenza a settembre un programma per la gestione dei migranti in collaborazione con la Turchia e gli altri paesi dei Balcani occidentali. Bruxelles, che ha sottolineato di stare “seguendo da vicino gli sviluppi” della situazione, si è però detta anche “pronta ad aiutare con ulteriore assistenza”. La situazione sul terreno, però, è urgente. Medici senza frontiere ha denunciato di avere curato a Idomeni, il paesino dal lato greco della frontiera, una decina di migranti dopo l’attacco coi lacrimogeni e le granate assordanti, sparate dalle forze armate macedoni in mezzo alla folla dei profughi. “Sei di loro presentavano ferite minori e sono state trattate sul posto mentre quattro hanno richiesto il trasferimento in ospedale”, viene precisato dall’ong, mentre “uno di loro era stato anche picchiato da membri dell’esercito macedone”. Msf sta anche distribuendo beni di prima necessità: molti svengono per il caldo, la sete, la fame e la stanchezza.
“Le nostre squadre non hanno mai visto prima così tante persone alla frontiera”, dove “in questo momento ce ne sono più di 3.000”. Skopje, riferisce ancora l’agenzia Mia, accusa Atene non solo di non controllare il flusso di migranti ma addirittura di organizzare bus che da Salonicco li portano al suo confine, lungo appena 50 km ma da cui parte un trenino a due vagoni, negli ultimi giorni letteralmente preso d’assalto dai migranti, che va verso la salvezza che ha nome Europa.
“Probabilmente vogliono controllare la corsa all’ingresso nel paese, ma alla fine ci lasceranno andare tutti”, racconta Hassan all’Ap, padre di famiglia siriano nel purgatorio della terra di nessuno. Solo lo scorso mese sono stati quasi 40mila i profughi ad entrare in Macedonia, più del doppio del mese precedente. La frontiera era sempre stata aperta, un paio di pattuglie e niente più. Fino a ieri. “Non so perché ci stanno facendo questo”, si chiede Mohammad, iracheno. “Non ho un passaporto o documenti di identità, non posso ritornare indietro e non ho nessun posto dove andare. Starò qui sino alla fine”.
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