Beni di culto e memoria cancellata. Il caso della chiesa di Cellara

 

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Sorprende, ma fino a un certo punto, che nelle nostre chiese antichi altari di culto vengano soppressi, anzi, se dedicati poco importa, non cambia nulla. Tanto per fare un esempio, ha goduto di qualche risonanza mediatica il caso della Parrocchiale di san Pietro a Cellara vicino a Cosenza, dove, a seguito dei lavori di ripristino dell’interno, è del tutto evidente l’asporto delle due nicchie di legno dipinto sopra l’altare di centro “dedicato”, nelle quali erano custodite da secoli le statue lignee molto antiche di san Pietro e dell’Immacolata, di eccezionale valore. In tanti, giustamente, hanno lamentato la profanazione degli spazi del culto che la comunità parrocchiale ricorda e tramanda. Ma ciò che colpisce è anche la misconoscenza da parte dei sacerdoti di turno della prassi e delle regole ecclesiastiche, capaci di interpretare (o si potrebbe dire falsificare) le norme liturgiche a proprio uso e consumo.

Questione delicata, ma sicuramente irresponsabili coloro che si occupano di cose sacre, o meglio di liturgia, talvolta usata per accostamenti stravaganti, per folli interventi dell’uomo. Al fondo c’è l’idea che la riforma liturgica voluta dal Concilio ecumenico vaticano II abbia cambiato tante cose nel ristretto spazio templare. E’ invece chiara nei suoi principi, e in un certo senso anche nelle soluzioni pratiche ad alcune questioni particolari come ad esempio l’esercizio del culto, la preservazione del patrimonio di arte e di fede tramandato, di fronte a un desiderio stizzito di aggiornamento, dominante sui laici, cioè i semplici fedeli, cui spesso si accompagna la perdita dell’uso devozionale del bene. Soprattutto la chiesa edificio chiede la necessaria sinergia di più soggetti tra loro, egualmente protesi a servire la celebrazione e perciò l’intreccio tra estetica e teologia resta un affascinante cantiere.

Si pensi ai luoghi del culto: altare, ambone e battistero, cappelle di santi e sante o agli oggetti devozionali e suppellettili preziose che ricordano le maestranze locali. Si pensi ancora alla musica e al canto oggi prerogativa del coro, che fa bella mostra di sé, mentre l’assemblea dei fedeli resta muta e passiva durante le celebrazioni. Spesso i canti della messa non sono quelli della comunità, eseguiti da tutti, e non adatti ai vari momenti rituali. C’è la tendenza a spettacolarizzare il canto sacro nel contesto delle celebrazioni alle quali i fedeli sono soliti partecipare.

La costituzione sulla sacra liturgia “SacrosanctumConcilium” nel capitolo dedicato all’arte sacra ha espressamente posto il problema delle esigenze del culto, della fruizione delle immagini, della conservazione e tutela dei beni della chiesa. Sono concetti ribaditi e precisati sia da Paolo VI che da Giovanni Paolo II, dai quali l’uomo non può prescindere in quanto l’arte, diversissima nella contestualità delle culture, sempre e comunque s’intreccia al religioso e al culto.

Perciò è necessario distinguere tra usi e abusi per una corretta applicazione della liturgia “culmine e fonte” della vita della chiesa. Il suo mancato rispetto attraverso intromissioni esterne genera disordine e crea tensioni che si riverberano oltre la sfera del sacro. Esempi come quello della chiesa di Cellara, un tempo eretta a simbolo della comunità, mettono in guardia dai rischi di “secolarizzazione” cui concorrono rimpalli e lentezze burocratiche, ma trova alimento anche in quanti rompono consuetudini, riformano i principi, più intenti ad una cultura del fare che del sapere. Con qualche eccezione di chi ammira e indaga la religiosità e il fervore di un popolo costantemente fido alle sue feste, tradizioni, devozioni e riti della più diversa natura.

 

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