di GIOVANNI PEREZ – Da alcuni giorni le cronache dei quotidiani altoatesini si occupano di una singolare, ma forse sarebbe più esatto definirla strampalata idea di un rappresentante dei Ds candidatosi alla segretario provinciale: inserire nei programmi delle scuola di lingua italiana dell’Alto Adige alcune ore settimanali di insegnamento del dialetto sudtirolese. Un espediente, sempre secondo il proponente, per facilitare l’integrazione e la comprensione dei ragazzi italiani del mondo di lingua tedesca.
All’inizio molti erano convinti che si trattasse di una boutade inventata per richiamare l’attenzione su di sé, solo che poi si è scoperto che nelle intenzioni del proponente era una proposta “seria”. A quel punto si sono scatenate valanghe di critiche e di sfottò che tuttavia non sembrano aver scalfito la convinzione del nostro candidato alla segreterai provinciale dei Ds: cioè quella di aver partorito una “idea originale e di grande utilità per agevolare e migliorare la comprensione tra i due gruppi linguistici sin da ragazzi”.
Ovviamente le osservazioni e le contestazioni erano piovute, sia da parte degli stessi Ds, sia, in forma ancora più sarcastica, dagli altri partiti. Tra le altre quella ovvia: i dialetti parlati nelle valli del Sudtirolo sono molteplici, tanto che un contadino della Val Sarentina se scende in città o si reca in un’altra valle sarà capito con grande difficoltà da un altro sudtirolese. I dialetti della Val Pusteria o della Val Passiria e via di questo passo differiscono in maniera sostanziale tra loro.
I colleghi Ds del proponente hanno anche fatto notare all’inventore della balzana idea che se, spinte da questo esempio, le varie regioni d’Italia fossero indotte a loro volta a chiedere un provvedimento analogo, la Campania, ad esempio, potrebbe chiedere che nelle sue scuole venga insegnato come “seconda lingua” il napoletano, a Palermo il siciliano, ad Ancona il marchigiano, e via di questo passo finendo per creare una babele. Sarebbe più saggio, concludono i contestatori, che si insegnasse meglio l’italiano, visto che persino non pochi laureati commettono spesso errori di grammatica e di sintassi, proprio in italiano.
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