di STEFANO CLERICI – Non ce ne voglia Giuliano Pisapia – sulla cui onestà intellettuale e buona fede non abbiamo mai nutrito alcun dubbio – ma il suo annuncio di voler gettare la spugna dopo mesi e mesi di estenuante tira e molla alla ricerca di un impossibile punto d’incontro con quel partito che ormai di democratico ha solo il nome e non più l’anima, ci fa tirare un grande sospiro di sollievo. Spazza via ogni ambiguità, ogni sospetto di possibile inciucio a caccia di collegi e poltrone sicure, ogni forma di compromesso al ribasso. In una sola parola: fa chiarezza. E dio solo sa quanto gli italiani abbiano bisogno di chiarezza.
Ora, non sappiamo che cosa farà Giuliano Pisapia personalmente, ma i suoi elettori, quelli che hanno onestamente creduto e ancora credono nella rinascita di una sinistra unita e vincente, hanno la possibilità di entrare in quell’autentico “campo progressista” che ha visto la luce l’altro giorno a Roma: “Liberi e Uguali”, con Pietro Grasso come leader e garante di un’alta politica.
Dicono: ma così si spacca il fronte, presentandosi alle urne in ordine sparso, si fa un favore al centrodestra e ai populisti d’ogni genere. E’ vero esattamente il contrario. Si certifica (e non c’è bisogno del notaio) che chi, con le sue politiche al governo e al vertice del partito, ha spesso calpestato e finanche deriso i valori fondanti della sinistra non può essere iscritto nel campo della sinistra. Tutt’al più può essere collocato al centro, come una nuova Dc che, in nome del potere, accoglieva tutto e il contrario di tutto. E, francamente, speriamo che ci siano ancora milioni di italiani che non siano rassegnati a morire democristiani.
La sinistra non è solo una parola vuota, un inutile orpello ottocentesco e novecentesco di cui liberarsi in fretta in nome di una presunta modernità. La sinistra è un’anima, è una passione, è la voglia di combattere per ideali come libertà, eguaglianza, giustizia e fraternità, che hanno segnato nei secoli la storia dell’umanità e che ancora la segneranno fino alla fine dei tempi.
La sinistra è quella cosa che quando c’è da affermare sacrosanti diritti civili come lo ius soli o il biotestamento non si piega ai ricatti. Che quando si trova di fronte ai drammatici dati Istat sul lavoro precario e sulla povertà non cancella l’articolo 18, frutto di decenni di lotta dei lavoratori. Che non accetta senza batter ciglio che il 10 per cento degli italiani detengano il 70 per cento della ricchezza nazionale. Che non regala, sotto forma di “bonus”, mance elettorali, ma spende fino all’ultimo euro possibile per nuovi investimenti in grado di fornire stabili posti di lavoro.
Bene, questa sinistra pare sia tornata in campo. E – salvo clamorosi errori – può restarci a lungo. Crescendo magari un po’ alla volta. Innanzi tutto riportando a casa tutti i “dispersi nel bosco” e poi tutti coloro che, per confusione o per rabbia, hanno guardato altrove, verso chi – non avendo una storia e un’anima e rinunciando per incomprensibile scelta a ogni alleanza – molto difficilmente potrà dar loro la certezza di un cambiamento.
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