di FABIO CAMILLACCI/ Un vecchio detto recita: “Il pesce puzza sempre dalla testa”. Un detto che purtroppo si attaglia benissimo all’attuale momento nero del calcio italiano. L’Italia dopo 60 anni è fuori dai Mondiali di Russia 2018 e le nostre squadre in Europa sono di gran lunga inferiori alle corazzate di Spagna, Germania, Inghilterra e Francia (vedi Paris Saint Germain). E ancora: stadi obsoleti e scomodi (tranne rare eccezioni), conseguente fuga della gente dagli stadi, pochissimi investimenti su vivai e squadre giovanili in genere, invasione di calciatori stranieri (perché rispetto agli italiani costano meno e si possono pagare a rate), mancato lancio delle nostre giovani promesse (che spesso emigrano all’estero), scarse risorse economiche (basta confrontare il calciomercato italiano e quello straniero), strapotere dei procuratori, partite brutte da vedere. Ma la lista delle anomalìe e dei guasti è lunga e potremmo proseguire ancora nell’elencare le tante storture di questo sempre più avvilente mondo della pedata tricolore, oltretutto sfregiato dalla pessima Var. Ergo, non è un caso se la Nazionale azzurra non parteciperà alla prossima rassegna iridata. Lo scrivemmo tempo fa: i guai partono da lontano e le colpe sono di chi da oltre un decennio ha gestito e purtroppo continua a gestire il nostro calcio manicomio; e non intende mollare, alla faccia del tanto sbandierato rinnovamento. Usanza tipicamente italiana.
Gli intrighi in Lega Calcio di A. Mentre Carlo Tavecchio, dopo essere stato messo alla gogna per l’eliminazione dell’Italia dal Mondiale, ha ripreso a fare il bello e il cattivo tempo per indicare un nuovo presidente della Lega Calcio di Serie A, insieme al suo fido e grande elettore Claudio Lotito (anche lui tornato in auge dopo un periodo buio). Un modo per acquistare peso nell’elezione del nuovo presidente della Figc. Insomma, il Tavecchio che avanza e Lotito, messi alla porta, sono rientrati alla grande dalla finestra. In perfetto stile “gattopardesco”. Ultimamente, a loro si è unito il patron del Torino Urbano Cairo: editore di La7, nonché presidente e amministratore delegato di RCS MediaGroup. Cairo lavora alacremente per eleggere a.d. della Lega di A, Javier Tebas: 56 anni nato a San José in Costa Rica, che ha rilanciato i campionati in Argentina e in Spagna, specialmente sotto il profilo economico. Eccoci così ad un’altra nota dolente del calcio italiano: da tempo i club dipendono quasi esclusivamente dai diritti televisivi. Senza i soldi delle tv fallirebbero quasi tutti. In tutto ciò l’accordo tra i club non si trova e la Lega di A rischia il commissariamento: forse il male minore.
La corsa alla presidenza Federale: peggio di un congresso politico da “Prima Repubblica”. Allo stato dei fatti, ma per noi non è una sorpresa, le grandi manovre per scegliere il successore di Tavecchio, stanno assumendo i connotati di un vecchio congresso della Democrazia cristiana (alla quale chiediamo scusa perché nel caso della Federcalcio è pure peggio). Tre candidati in lizza, tante correnti, ma, unità d’intenti zero e di conseguenza, caos totale. Il problema è un altro però: alla faccia del tanto sbandierato cambiamento, alla fine il nuovo numero uno della Figc sarà scelto tra Cosimo Sibilia e Carlo Gravina. Cioè, due cloni di Carlo Tavecchio per curriculum e storia. Dal Tavecchio al vecchio che avanza. Per buona pace di Damiano Tommasi, ex calciatore dalla faccia pulita, competente, preparato, serio e non a caso ribattezzato “anima candida” ai tempi della Roma per la sua bontà e onestà. Tommasi presidente del sindacato calciatori e appoggiato dall’Assoallenatori del comunista Renzo Ulivieri, pugno chiuso da compagno nella foto ufficiale per il nuovo album calciatori Panini e dito medio social davanti alla Trump Tower. Sovoliamo sulle cadute di stile del “Renzaccio” toscano, ma, aggiungiamo che Ulivieri, da sempre nemico del “Palazzo”, fu l’unico a opporsi alle dimissioni di Tavecchio dopo l’eliminazione dell’Italia dai Mondiali. Stranezze e incongruenze tutte italiane, del derelitto calcio italiano (nella foto da sinistra: Gravina, Tommasi e Sibilia).
Una sfida tra Sibilia e Gravina. Nonostante, il presidente del Coni Giovanni Malagò continui a chiedere il rinvio del voto per trovare unità e cambiare lo statuto Federale, lunedi prossimo 31 gennaio all’Assemblea elettiva della Figc, si sfideranno proprio Sibilia e Gravina; tra veti, controveti, veti incrociati, accordi sottobanco e altro. Presentiamo i due. Cosimo Sibilia: senatore di Forza Italia e presidente della Lega Nazionale Dilettanti, nonché figlio dello storico presidente dell’Avellino Antonio Sibilia che amava dire: “C’è chi può e chi non può: io può”. Gabriele Gravina: imprenditore, accademico e presidente della Serie C (l’ex Lega Pro). Ecco perché abbiamo scritto che si tratta di due cloni di Tavecchio: ex sindaco Dc e presidente della LND quando fu eletto presidente Figc.
Il guasto è a monte. Ma perché il numero uno del Coni continua a ripetere che per ripartire bene e veramente bisogna azzerare lo statuto federale? La risposta sta tutta nelle regole per l’elezione del presidente della Figc. All’Assemblea elettiva prendono parte 278 delegati provenienti dalle Leghe e dalle Associazione calcistiche principali. La Lega di A conta su 20 delegati, quella di B su 21, la Serie C ne ha 60, la Lega Nazionale Dilettanti (la Serie D) 90, l’Assocalciatori 52, l’Assoallenatori 26 e l’AIA (gli arbitri) appena 9. E qui notiamo già una grande incongruenza: le Leghe, più sono inferiori, più hanno potere. Al momento dell’elezione però i voti sono ponderati, cioè non avranno tutti la stessa valenza. Ovvero, per calcolare la maggioranza, il totale dei suffragi di riferimento non sarà 278 ma 516; un numero ottenuto tramite la ponderazione stabilita in base al numero dei delegati per ciascuna categoria e alla loro importanza. Quindi: 3,09 per la Serie A, 1,23 per la B, 1,46 per la C, 1,95 per la D, 1,98 per l’Assocalciatori, 1,98 per l’Assoallenatori e 1,15 per gli arbitri. Un sistema a dir poco cervellotico che alla fine premia sempre i candidati di C e D. Come essere eletti? Al primo turno servono tre quarti dei voti, al secondo i due terzi e dalla terza tornata in poi basta la maggioranza assoluta. In teoria, con un sistema di alleanze, Tommasi potrebbe farcela ma la sua elezione pare sia vista come il fumo negli occhi dai padroni del vapore. Quindi, la scelta si riduce a Sibilia e Gravina. Alla faccia del rinnovamento. E già, è proprio vero: il pesce puzza sempre dalla testa.
Commenta per primo