di CARMINE CASTORO –
Quando la vedi nelle sue esibizioni con la carne stretta in corde e legacci, quasi “torturata”, schiacciata, issata, sospesa, lasciata volteggiare per aria, volontariamente sequestrata per provare tremori e abissi dentro la sua coscienza che non cogliamo con gli occhi, e poi finalmente svincolata da queste costrizioni e riallineata alla “normalità” di tutti noi, quasi senti la sua sofferenza, forse la vivi come una follia, un numero da palcoscenico, un rischio evitabile. Ma poi la senti parlare, e capisci che Sara Speroni, 29 anni, una delle performer di Shibari più richieste a Roma, ha scelto una via tutta corporale, apparentemente masochistica, una scienza del dolore e dell’autocontrollo, per arrivare a considerazioni sull’esistenza e l’intimità che non ti aspetti da un’artista così giovane.
Sorridente, simpatica, molto riflessiva, già precocemente e dolcemente anti-Sistema e contro i facili modelli televisivi dei giovani d’oggi, un concentrato di sensualità che con una prelibata metafora gastronomica non sarebbe peregrino definire un “barattolino di Nutella” per le sue morbide curve e la sua golosità tenuta a bada, Sara ha già tante esperienze agonistiche, coreografiche e d’avanguardia alle spalle, e si è ritagliata una personale preziosa griffe nel mondo delle pratiche orientali sbarcate nella Capitale.
Da sempre appassionata di sport, avendo praticato pugilato per svariati anni, decide di dedicarsi alla danza e all’acrobatica. Nel 2014 comincia un corso di dancehall, un ballo jamaicano, ed entra a far parte delle DHF, gruppo di ballerine con cui si esibirà nei principali locali di Roma. Posa come fotomodella e compare in diversi video di danza, sino ad essere selezionata nel libro “The Black and White project” di Stefano Riccardi, fotografo di Roma, al fianco di fotomodelle professioniste.
Intorno al 2016 scopre il Bondage, disciplina orientale che consiste in legature ispirate allo nawajutsu, arte di combattimento medioevale supportata dall’utilizzo di corde, ed entra a far parte della scuola Roma Shibari Dojo. Rimanendo sempre al fianco di Ishara Gabri, operatrice olistica ed insegnante di yoga, nonché rigger dalla quale, appunto, viene legata. “Il labirinto della mente” è il blog su Facebook dove la si può contattare, in cui trovare sue poesie e la pubblicazione del libro Quod me nutrit me destruit.
Sara, dai disturbi alimentari sei passata a un percorso di riflessione e di sperimentazione che ti ha portato alle esibizioni di Shibari. Mi spieghi i passaggi fondamentali di questo cambiamento?
“Nel momento in cui ho iniziato a lavorare sui miei problemi alimentari, ho scoperto questa disciplina che ha giocato un ruolo molto importante nel cambiamento della mia percezione della bellezza. Se prima aspiravo ad un determinato prototipo di fisico, assistendo ai primi show, sono rimasta subito colpita da questi corpi molto diversi tra loro che acquistavano eleganza e sinuosità una volta rivestiti dalle corde. Affascinata non solo dall’estetica ma anche dalle espressioni di beatitudine che vedevo sui loro volti, ho voluto provare, e mi sono diretta alla scuola di bondage di Davide La Greca che tuttora frequento ed ho cominciato a partecipare ai suoi corsi. Trovandomi a mio agio nelle corde ed apprezzandone l’arte, mi sono sentita parte di essa e questo ha fatto sì che imparassi ad amare il mio corpo per quello che riusciva a fare e le emozioni che sosteneva. Nello Shibari, così come negli sport, corpo e mente sono collegate, lavorano insieme e quando porto il mio corpo a prestazione estreme, mi sento serena e gratificata. Questo mi ha fatto acquistare fiducia in me stessa e ad accettare il mio aspetto, curve e muscoli compresi!”
Quali sono le sensazioni che tu provi e che cerchi di trasmettere durante le tue performance? E soprattutto: vengono capite da chi ti guarda?
“Quello che mi piace dello Shibari è che ogni legatura rappresenta un’esperienza, come fosse un percorso per giungere ad uno stato di pace assoluta. Appena le corde si poggiano sul mio corpo, inizio ad abbandonarmi ad esse e questo fa sì che diventino il filo conduttore delle sensazioni che si scambiano tra il rigger e la modella.
L’abbandono, inteso come lasciarsi andare al fluire delle emozioni, è fondamentale quando si pratica lo Shibari. In questo modo si ha la possibilità di raggiungere uno stato di trance, che per me rappresenta un momento di meditazione in cui sono completamente rilassata.
Il cervello sprigiona endorfine, la pressione delle corde mi accompagna come se mi stessi addormentando e mentre vengo slegata comincio a riacquistare i sensi quasi mi svegliassi da un sogno e sono totalmente rigenerata. Ogni spettacolo racconta una storia e in base a questo si scelgono temi musicali e tipologie di legature connesse tra loro. Quello che il pubblico percepisce è sempre individuale essendo le emozioni legate alla sfera personale, quindi è difficile da dire, in ogni caso cerco sempre di trasmetterne l’ aspetto spirituale”.
Come si conciliano queste pratiche estreme con la normalità dei rapporti intorno a te: famiglia, amici, innanzitutto?
“Amo essere me stessa, a 360°. E, soprattutto, non mi piace identificarmi in alcuna etichetta. Ho una quotidianità molto dinamica, ma sono sempre me stessa. Per questo chi mi conosce sa le mie passioni, ne parlo tanto, soprattutto di quelle più particolari proprio perché vorrei sdoganare i pregiudizi che ruotano attorno ad esse e nel mio piccolo posso dire di esserci riuscita! Mia madre è la fan numero uno, mi sostiene e mi consiglia costantemente in ogni mio passo, e i miei amici quando possono partecipano sempre volentieri agli spettacoli”.
Fra danza, boxe e Shibari hai messo quasi sempre al centro delle tue esperienze artistiche il corpo. Pensi che sia un terreno di sfida e di ricerca il corpo oggi? Soprattutto per le ragazze giovani come te?
“Il corpo è lo strumento per eccellenza di cui siamo dotati ed io l’ho sempre utilizzato al massimo. Ad oggi la nostra società fa molta attenzione al benessere, ma si concentra troppo sull’estetica piuttosto che sulla salute e sulle potenzialità che possono derivare dall’investimento che scegliamo di fare su di esso. Penso ci sia bisogno di rischiare per raggiungere delle soddisfazioni, mettendosi sempre in gioco ed è estremamente importante farlo avendo consapevolezza di chi siamo e a cosa possiamo arrivare preservando e curando noi stessi. La sfida c’è sì, ma a suon di like su Facebook e Instagram, poco sul piano strumentale. Dovremmo utilizzare al meglio quello che abbiamo a disposizione e sfruttare le nostre capacità finché possiamo”.
Avendo fatto anche la fotomodella e non disdegnando frequentazioni nel mondo fetish che idea ti sei fatta della bellezza e del rapporto col mondo maschile oggi?
“Frequentando ambienti alternativi con target di età abbastanza vario, posso dire che anche nei giovani c’è una ricerca più sottile nell’altro, il desiderio è rivolto più al contenuto che all’aspetto. Si gioca molto con il ruolo, quindi chiaramente l’occhio vuole la sua parte, ma a patto che ci sia sostanza”.
Vedo un filo rosso molto bello che lega tutto questo tuo mondo interiore e artistico con l’attività di baby sitter con bambini autistici…
“Mi ritengo una persona molto sensibile, do importanza all’interiorità e m’interessa la psicologia altrui. Lavoro da sempre con i bambini e ho avuto modo di conoscerne tanti, ognuno di loro mi arricchisce quotidianamente, soprattutto quando ci sono realtà diverse con cui ho la possibilità di entrare a contatto. Quando si impara ad ascoltare se stessi, le proprie emozioni costantemente come faccio io, si acquista una maggiore sensibilità anche con chi ci sta vicino. Stare con loro mi fa essere più leggera, nonostante la responsabilità che ne deriva, giocare e partecipare alla crescita di un bambino la ritengo una delle fortune più grandi”.
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