di FEDERICO BETTA – I giganti della montagna è l’ultimo testo scritto da Luigi Pirandello e rappresentato per la prima volta postumo nel 1937. È un testo inconcluso (a causa della morte dell’autore) e affronta uno dei miti moderni per eccellenza, quello dell’arte. Narra la storia di una sgangherata compagnia teatrale guidata da una tal contessa Ilse che, non trovando ospitalità nei teatri comuni, decide di mettere in scena la sua opera in una grande villa, detta degli Scalognati. Tra strani prodigi, creature magiche, atmosfere da sogno e da incubo, il gruppo vorrebbe esibirsi davanti ai Giganti della Montagna, esseri mitici e potenti che purtroppo però hanno abbandonato ogni sensibilità e si dedicano solo agli aspetti materiali della vita. Nel finale, solo tratteggiato da Pirandello e concluso dal figlio Stefano, la compagnia offre il suo lavoro al popolo per nulla disposto ad accettare un lavoro d’arte, tanto che arriva ad uccidere Ilse, decretando la morte dell’arte nella società moderna.
Dopo i più noti allestimenti di Giorgio Strehler e Leo de Berardinis, anche Roberto Latini (foto) riporta in scena l’affresco mitico di Pirandello. Come chiarito nelle intenzioni, l’interesse dell’autore, attore e regista della compagnia Fortebraccio Teatro, è quello di lasciare la concretezza del testo originale per toccare i confini tra arte e vita, per aprire un varco oltre i limiti dell’immaginazione.
Solo in scena, Latini si muove in uno spazio costantemente filtrato, denso di fumo e bolle di sapone, con un assolo che si dissocia nei vari personaggi attraverso le distorsioni di diversi microfoni. Scritte video su un velatino scuro abbassato in proscenio, una tessitura musicale che spazia dall’elettronica battente alla lirica più delicata (lavoro di Gianluca Misiti che ha vinto il Premio Ubu nel 2015 per il ‘Miglior progetto sonoro o musiche originali’), abiti di stracci e completi eleganti, così come la modulazione tra lunghi silenzi e interminabili monologhi, sono gli strumenti di un testo disperso nell’imprendibilità.
Di Pirandello, Latini riporta le atmosfere, i personaggi, il gioco tra realtà e fantasia, ma spinge il testo proprio verso il suo carattere più inafferrabile, quello dell’incompiuto. Prendendo le mosse da un classico che si è interrogato sul senso dell’arte e della messa in scena, è come se l’autore e performer volesse dirci che la storia, il flusso omogeneo e compatto di un racconto, nel teatro e nell’arte contemporanea, non possono più trovare la loro completezza. Perché lo spazio, il suono, la voce e l’attore stesso sono sempre duplicati, ripetuti, diffusi nelle mille rifrazioni delle bolle di sapone o confusi in un fumo denso che ne mangia i confini.
“Voglio rimanere il più possibile nell’indefinito, accogliere il movimento interno al testo e portarlo sul ciglio di un finale sospeso tra il senso e l’impossibilità della sua rappresentazione”, così dice Roberto Latini nella sua presentazione.
I giganti della montagna è un’opera fortemente personale, un tentativo di sfondare i limiti del linguaggio per trovare un nuovo mondo. Ne risulta un lavoro originale e la scelta di approcciare un classico con un impianto tecnologico deciso, ne fa sicuramente uno spettacolo complesso e coraggioso. A percepire dagli umori del pubblico, però, tutta questa stratificazione rischia di chiudere alcune strade percettive, bloccando immedesimazione ed empatia, riducendo lo sfondamento dei confini a un lavoro di privatissima elaborazione dell’autore.
La proposta del Teatro Vascello di Roma continua ad aprile con altri due lavori di Roberto Latini: il 14 e 15 aprile è in scena Amleto + Die Fortinbrasmaschine (rivisitazione dell’Amleto di William Shakespeare sulle orme di Heiner Müller) e dal 19 al 22 il Cantico dei Cantici, che è valso a Latini il Premio Ubu 2017 come Miglior attore o performer.
Commenta per primo