di Francesco Maria Provenzano/
Lunedi 12 ottobre, al Senato vigilia del voto finale sulla riforma che inizierà domani alle 15, ma il clima nel Pd è pesante per la nota vicenda di Ignazio Marino, tanto che l’argomento principale alla buvette e al Salone Garibaldi è costituito dalle sue dimissioni da sindaco di Roma. E su questo ho ascoltato il senatore di Area Popolare Aldo Di Biagio. Che mi ha detto: «Il problema non è giudicare o additare l’ormai ex sindaco capitolino, ma piuttosto condannare un certo modus operandi che certamente non è stato monopolio di Marino ma che con la sua amministrazione è apparso assolutamente eloquente. Bisogna partire da un presupposto chiaro – spiega Di Biagio – nel momento in cui si articola la propria azione amministrativa intorno all’emergenza di “salvare Roma” con richiesta di fondi con provvedimenti che il Parlamento è stato chiamato a ratificare e dinanzi ai quali gli stessi parlamentari romani hanno fatto un passo indietro dando per scontata l’assoluta inutilità di un ennesimo spreco di denaro pubblico , appare evidente che il meccanismo perseguito è stato poco funzionale alle esigenze di una città complessa oltre che poco armonico con quanto realmente era necessario fare. Risultano poi assolutamente fuori luogo i toni quasi minacciosi e al limite dell’apocalittico lanciati da Marino, che a mio parere vanno ad esasperare i toni di uno scenario già complesso veicolando un messaggio sbagliato e confondendo ulteriormente i cittadini. Credo che si debba chiudere la fase dei circhi mediatici e dei personalismi ma passare alla fase dell’azione, quella carente negli ultimi tempi per parlare del futuro e dare a Roma quegli strumenti di fattiva gestione di cui ha un disperato bisogno per far fronte alla evidente decadenza del suo appeal nonché ad eventi epocali come il prossimo Giubileo».
Martedì 13 l’Aula iniziata alle 11,02. Con 178 sì, 17 no e 7 astensioni, viene approvato con modifiche, in terza lettura, il disegno di legge n. 1429-B, di revisione della Parte II della Costituzione. Il provvedimento torna ora alla Camera e poi tornerà di nuovo al Senato e, se verrà approvato anche qui nello stesso testo, definitivamente alla Camera.
Nelle dichiarazioni di voto finali, i sen. Castaldi (M5S), Paolo Romani (FI-PdL), Calderoli (LN), Loredana De Petris (SEL), Campanella (Misto-l’Altra Europa con Tsipras), Cinzia Bonfrisco (CR) e Mario Mauro (GAL) hanno annunciato di non partecipare al voto per non legittimare una revisione costituzionale fondata su forzature, ricatti, mercimoni e trasformismi. Le opposizioni hanno ricordato che il combinato disposto di Italicum e revisione costituzionale determina una concentrazione di potere enorme nella mani del premier, senza prevedere adeguati contrappesi. Un partito con il 25 per cento dei consensi, grazie al premio di maggioranza, controllerà il Parlamento ed eleggerà tutti gli organi di garanzia: Presidente della Repubblica, giudici della Corte costituzionale e componenti del CSM. Le modifica pasticciata e contraddittoria all’articolo 2, esito di un accordo tutto interno al PD, non risolve il problema dell’elettività del Senato. Hanno annunciato voto favorevole i sen. Zanda (PD), Mazzoni (AL-A), Napolitano (Aut), Quagliarello (NCD) e la sen. Repetti (Misto-Insieme per l’Italia). In dissenso dal Gruppo, hanno annunciato voto contrario i sen. Tocci (PD), Casson (PD) e Mineo (PD): il vero obiettivo della riforma è il cambiamento non dichiarato della forma di governo, con l’introduzione effettiva del premierato. Il superamento del bicameralismo è pasticciato: il Senato non sarà né una Camera di garanzia né una Camera delle autonomie. Anche la senatrice Cattaneo (Aut), in dissenso dal Gruppo, ha annunciato l’astensione, dichiarandosi estranea ad un testo, elaborato in sede extraparlamentare e approvato per ragioni politiche contingenti, che trasforma il Senato in un ircocervo istituzionale. Al termine della votazione avvenuta alle 17,30, ho fermato in un Salone Garibaldi affollato come non mai il senatore del PD Claudio Moscardelli, al quale ho chiesto un commento sul voto. Ecco la sua risposta: «179 voti a favore. Un risultato ampio di consensi che va oltre il PD, sostanzialmente compatto, e la maggioranza. Renzi dimostra che la forza dell’azione riformatrice si consolida. Il voto alla Camera si presenta più agevole e nel 2016 si terrà il referendum. L’azione delle opposizioni è apparsa contraddittoria, impantanata sulle schermaglie procedurali e con posizioni ostruzionistiche che non hanno retto al confronto. La retorica delle accuse di autoritarismo è apparsa forzata oltre che infondata. La riforma non tocca i poteri del premier, che rimangono immutati. Forza Italia nel 2005 ha promosso una riforma poi bocciata dal referendum con cui attribuiva al capo del governo poteri rafforzati e addirittura il potere di scioglimento delle Camere, poteri così ampi da non avere nessun esempio analogo nelle democrazie occidentali. Da sinistra, Sel, ha detto che la legge elettorale maggioritaria rende la riforma costituzionale inaccettabile. Eppure nel 1996 erano d’accordo con la proposta dell’Ulivo sul Senato che è fotocopia dell’attuale e allora c’era una legge elettorale maggioritaria come il Mattarellum».
Ho chiesto al senatore Sergio Divina la motivazione della non partecipazione della Lega al voto. Mi ha riposto così: «Se la Lega non ha partecipato alla votazione di questo provvedimento non è perché non ha interesse a questo Paese, ma, come è stato dichiarato in Aula, è perché non vuole partecipare a questo massacro della Costituzione. Dopo trent’anni di percorsi federalisti e tentativi di far dimagrire lo Stato centrale a favore delle autonomie locali, ora si sta invece partorendo la riforma più centralista mai vista né ipotizzata. Se passerà questa riforma, il partito (non più la coalizione) che vincerà le prossime elezioni (anche con meno del 25% di voti) otterrà la maggioranza dei parlamentari alla Camera (il Senato non inciderà più nulla nei rapporti col governo), farà un governo monocolore, si eleggerà il suo Presidente della Repubblica, con questo nominerà la maggioranza dei giudici delle supreme magistrature nonché i vertici della Rai che a loro volta nomineranno tutti i direttori di rete e di testata. La stessa “famiglia” politica, controllerà il legislativo, l’esecutivo ed il giudiziario. Nonché l’informazione pubblica. In sostanza il segretario del partito che vincerà le prossime elezioni sarà il “dominus” assoluto del Paese. Le Regioni sono state sminuite e non avranno più competenze nelle materie concorrenti e saranno paragonabili alle attuali province. Il Governo (ergo il partito vincitore) potrà con decreto cambiare persino la legge elettorale rendendola più favorevole ad esso pro futuro. Mi fermo per non rendere eccessivamente pesante la comprensione. Si è attuato un centralismo di poteri senza bilanciamento alcuno. Non si vedono cose simili nemmeno nelle costituzioni delle dittature più assolute. E noi dovevamo stare in Aula ad avallare questo scempio? Anche i tempi che ci sono stati assegnati erano ridicoli: “Renzi vuole che si arrivi al voto finale il giorno 13 ottobre”, era l’imperativo della maggioranza, fatto proprio da un presidente del Senato per nulla indipendente in questo frangente e pertanto giustamente paragonato al noto arbitro Moreno. Da trentino devo dire che per la mia Provincia Autonoma non è cambiato quasi nulla. Ma non è così. Se già prima vi erano asti, diffidenze e gelosie nei nostri confronti, al punto da avanzare da più parti la ‘proposta di abolizione delle Regioni e Province a Statuto speciale, domani, quando il divario fra noi e le altre Regioni sarà ancor più accentuato, chi ci assicura che il nostro potrà essere un futuro sereno? Più il divario si accentua e più attacchi riceveremo. Per questo in tutti i miei interventi sulla riforma ho sempre sostenuto la necessità, per nostro interesse, di non dequalificare le Regioni ordinarie. Più forti saranno loro domani e più sicuri saremo noi in futuro. Difendere il “fortino” come hanno fatto gli autonomisti a Roma significa protrarre per un po’ lo status quo, ma inesorabilmente sotto attacco i fortini alla fine cedono».
Mercoledì 14 l’Aula si è riunita alle 9,32 ed ha avviato l’esame del ddl n. 2081, regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, e connessi. Il ddl n. 2081 è volto a riconoscere giuridicamente le coppie di persone dello stesso sesso e i diritti delle coppie di fatto. Il Capo I introduce nell’ordinamento l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, il Capo II reca una disciplina della convivenza di fatto, eterosessuale e omosessuale. Il sen. Palma (FI-PdL), presidente della Commissione giustizia, ha riferito in modo dettagliato sui lavori in sede referente, che sono iniziati il 18 giugno 2013 e non si sono conclusi. Palma ha evidenziato lo stallo determinato dalla calendarizzazione della riforma costituzionale e ha giudicato ingenerose le critiche rivolte alla Commissione. A seguito della decisione assunta ieri dalla Conferenza dei Capigruppo, il ddl n. 2081 sarà discusso senza relazione. I sen. Giovanardi (AP) e Malan (FI-PdL) ritengono che la procedura sia illegittima, violando le previsioni sul procedimento legislativo dell’articolo 72 della Costituzione. L’Assemblea ha approvato il ddl n. 1559, recante norme per la riorganizzazione dell’attività di consulenza finanziaria. Il ddl, che consta di un unico articolo, è volto ad istituire un albo unico, gestito da un solo organismo con personalità giuridica di diritto privato, per consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede (attuali promotori finanziari), consulenti finanziari indipendenti (attuali consulenti finanziari), società di consulenza finanziaria. Dopo l’approvazione di una proposta di inversione dell’ordine del giorno, l’Assemblea ha approvato la richiesta di dichiarazione d’urgenza per il ddl n. 2024, di iniziativa di M5S, sul divieto di pubblicità per i giochi con vincite in denaro. L’Assemblea ha poi avviato l’esame del ddl n. 2054, modifiche all’articolo 9 della legge 2012, n. 96, concernenti la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, già approvato dalla Camera. Il relatore, Gotor (PD), ha svolto la relazione sul ddl che interviene sulla legge n. 96 del 2012, la quale ha dimezzato il rimborso delle spese elettorali per i partiti e ha introdotto il controllo dei rendiconti. L’articolo 1 potenzia l’organico della Commissione di garanzia per il controllo dei rendiconti dei partiti, che non è riuscita a effettuare la verifica dei bilanci per gli anni 2013 e 2014, regolarmente presentati da tutti i partiti politici, e differisce il termine della verifica al giugno 2016. Il comma 4 reca infine un’interpretazione autentica sull’accesso alla cassa integrazione e ai contratti di solidarietà dei dipendenti dei partiti.
La seduta è stata sospesa ed è ripresa alle 15,30. Alla ripresa dei lavori nella seduta pomeridiana Il presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha reso comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre, che discuterà i temi dell’immigrazione, della Siria e dei rapporti con la Russia. Ha rivendicato con orgoglio il fatto che l’esigenza di una politica condivisa dell’immigrazione sta raccogliendo consensi e che il regolamento di Dublino è ormai superato. L’identità europea – ha affermato – non può fondarsi sulla contrapposizione alla Russia e sulla costruzione di nuovi muri e le risposte al terrorismo non possono limitarsi ai raid aerei. Nel Mediterraneo e in Medio Oriente occorre abbandonare la politica delle reazioni istintive ed elaborare una strategia che consenta di contrastare il blocco del fondamentalismo che si estende dall’Afghanistan alla Nigeria. In questa prospettiva si inquadrano una politica di investimenti in Africa e la stabilizzazione dell’Egitto. A proposito della richiesta di revisione dei Trattati e del rapporto dei cinque presidenti, Renzi ha affermato che la nuova governance dell’Eurozona non è sufficiente a rilanciare la crescita: occorre prendere atto che la politica economica europea di questi anni non ha funzionato. Nei prossimi due anni si apre uno scenario interessante: nel 2017 ci saranno le elezioni in Francia e in Germania e il referendum nel Regno Unito. Avendo completato le riforme strutturali (riforma costituzionale, del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione e della scuola), l’Italia avrà una maggiore credibilità per promuovere una politica alternativa e contribuire alla soluzione dei problemi europei.
Nelle dichiarazioni di voto sono intervenuti le senatrici Anna Cinzia Bonfrisco di (CR,N Fattori del M5S, Repetti del (Misto), i senatori Giovanni Mauro di (GAL) Arrigoni della (Lega) Barani di (AL) De Cristoforo di (SEL) Minzolini di (FI-PdL), Casini di (AP) che ha evidenziato la mancanza di una strategia europea per il Mediterraneo a causa della miopia dei Paesi del Nord. Per Minzolini (FI-PdL) il governo italiano pecca di immobilismo rispetto alla situazione mediorientale. Hanno annunciato voto favorevole alla risoluzione di maggioranza la sen. Repetti (Misto), il sen. Panizza di (Aut), e il sen. Maran del (PD). Il sottosegretario Gozi ha espresso parere contrario sulle risoluzioni di LN, SEL, M5S, CR e FI-PdL. Ha accolto invece la risoluzione di maggioranza e ha chiesto una riformulazione della risoluzione di AL.
L’Assemblea ha poi avviato l’esame del ddl n. 2054, modifiche all’articolo 9 della legge 2012, n. 96, concernenti la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, già approvato dalla Camera. Il relatore, Gotor (PD), ha svolto la relazione. L’articolo 1 potenzia l’organico della Commissione per il controllo dei rendiconti dei partiti, la quale non è riuscita a verificare i bilanci per gli anni 2013 e 2014, regolarmente presentati da tutti i partiti politici, e differisce al giugno 2016 il termine della verifica. Una norma di interpretazione autentica riguarda l’accesso dei dipendenti dei partiti alla cassa integrazione straordinaria e ai contratti di solidarietà. Il relatore ha colto l’occasione per polemizzare con l’apoliticismo, l’antipartitismo, la demagogia sui costi della politica, e ha rivendicato la vitale importanza per la democrazia del finanziamento pubblico dei partiti. La questione pregiudiziale presentata dal sen. Endrizzi (M5S) è stata respinta. Il M5S, che ha rinunciato alle risorse pubbliche, ha ricordato che il finanziamento pubblico dei partiti, abolito da un referendum popolare, è stato reintrodotto surrettiziamente sotto forma di rimborso elettorale.
L’Assemblea ha approvato definitivamente il ddl n. 2054 con 148 voti favorevoli, 44 contrari e 17 astenuti, il disegno di legge n. 2054 sui rendiconti dei partiti politici. modifiche all’articolo 9 della legge 2012, n. 96, concernenti la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici. Nelle dichiarazioni finali hanno annunciato voto favorevole i sen. Bruni (CR), Mazzoni (AL), Anna Maria Bernini (FI-PdL), Del Barba (PD): il provvedimento non dispone una sanatoria ma prevede una regolarizzazione. A titolo personale, ha annunciato voto favorevole il sen. Maurizio Romani (Misto-IdV). La sen. De Petris (SEL) e il sen. Campanella (Misto-IdV) hanno annunciato l’astensione. Anche il sen. Augello (AP), in dissenso dal suo gruppo, si è astenuto. Il sen. Morra (M5S), nell’annunciare voto contrario, ha rilevato che il bicameralismo paritario non ha ostacolato l’approvazione in tempi fulminei del ddl. La sen. Mussini (Misto) ha annunciato voto contrario. Il sen. Crimi (M5S) ha dichiarato la non partecipazione al voto. La seduta è terminata alle 20,44.
Giovedì 15 alle ore 16, in Aula si è svolto il question time con il ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, che ha risposto a quesiti su questioni concernenti la gestione dei rifiuti, i cambiamenti climatici e l’efficienza energetica. Hanno formulato domande i sen. Caleo, Vaccari (PD), Piccoli (FI-PdL), Wilma Moronese, Girotto (M5S), Di Biagio (AP), Molinari, Orellana (Misto), Romano (Aut), Compagnone (AL), Arrigoni (LN), Paola De Pin (GAL). Il ministro Galletti ha affermato che la chiave della politica ambientale dei prossimi anni è il passaggio ad un’economia circolare, che utilizzi in modo efficiente risorse limitate e produca meno rifiuti. Sul problema dei rifiuti, il ministro ha evidenziato la non autosufficienza delle Regioni. Ha dichiarato inaccettabile la situazione attuale, con il 40 per cento dei rifiuti deferito in discarica e Regioni che toccano punte dell’80 per cento: in base alla normativa vigente il ministro intende ricorrere ai termovalorizzatori, in mancanza di progetti concreti sulla raccolta differenziata. Con riferimento alla Campania e al Lazio, undici infrazioni per inquinamento ambientale sono state chiuse, ma rimangono aperte altre infrazioni a carico delle Regioni. Il ministro ha precisato che nella legge di stabilità sono previsti la proroga dell’ecobonus per l’efficientamento energetico e uno stanziamento per il problema dei rifiuti in Campania. In tema di dissesto idrogeologico, ha ricordato la semplificazione delle regole. La seduta è terminata alle 17,16.
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