di ENNIO SIMEONE – Immaginiamo, e comunque speriamo, che nessun italiano, quale che sia il suo orientamento politico e culturale, sia lieto di vedere il presidente della Repubblica diventare bersaglio o eroe, a torto o a ragione, di una rovente polemica politica . Tuttavia è proprio questo che sta accadendo dal pomeriggio di domenica, quando il presidente Mattarella ha messo il professore Giuseppe Conte – che lui aveva incaricato di formare un governo perché poteva contare in parlamento su una maggioranza Cinquestelle+Lega – nella condizione di dover rinunciare all’impresa.
Rinunciare perché? Perché nella lista dei ministri presentata dal professor Conte figurava un nome, quello del professor Paolo Savona, che – pur avendo contribuito, quando era ministro del governo Ciampi, a portare l’Italia nell’euro – aveva espresso giudizi critici sul funzionamento dell’Unione Europea, sollecitandone comunque un rafforzamento, e aveva prospettato una forma di uscita dall’euro (l’ormai famoso «piano B») qualora se ne profilasse la necessità. Mattarella, confortato (o indotto?) da una campagna di opinione alimentata con accanimento e cattiveria anche da giornali di paesi europei, come in particolare alcuni della Germania, ha preteso che i partiti che avevano scelto Giuseppe Conte come candidato a presidente del Consiglio depennassero il nome di Paolo Savona dalla lista. Al rifiuto di M5s e, soprattutto, Lega, per bocca (in verità vulcanica) di Matteo Salvini, si sono rifiutati, come era loro diritto, di cancellare la candidatura di Savona ritenendo che il caso non rientrasse in quelli previsti dagli articoli 54 e 92 della Costituzione, che stabiliscono in quali casi e per quali ragioni un presidente della Repubblica può rifiutarsi di nominare un ministro proposto dal presidente del Consiglio incaricato. E, per di più, questa anomalia è suffragata dalla motivazione esposta da Mattarella per il suo gran rifiuto: una motivazione che interviene nella libertà di opinione del candidato ministro, cosa esclusa dai citati articoli 54 e 92.
Lasciamo agli esperti costituzionalisti il giudizio sulla legittimità o meno della bocciatura di quel ministro e quindi del tentativo, che lui effettivamente, almeno a quanto risulta, ha favorito nelle scorse settimane, ma sta di fatto che il presidente della Repubblica, con la sua mossa, ha offerto su un piatto d’argento al leader della Lega un argomento straordinariamente efficace per la sua propaganda di stampo nazionalista nella nuova e imminente campagna elettorale. Tant’è che Salvini non si è associato alla invocazione, probabilmente campata in aria, della messa in stato di accusa di Mattarella avanzata da Di Maio e dalla Meloni. Il suo motto svetterà sul vessillo «patriottico» gemello di quello di Trump (“America first“): “Prima gli italiani“. Nella speranza di liberarsi anche del governo gialloverde per realizzarne uno grigioverde.
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