di ENNIO SIMEONE – «Non so chi sia sia inventata questa sciocchezza», «Questo governo non metterà le mani nelle tasche degli italiani»: ha fatto queste affermazioni con piglio deciso il ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, nonché vice presidente del Consiglio, nonché capo politico dei Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, rispondendo ad una delle tante «interviste volanti» che nugoli di giornalisti, microfoni protesi verso l’obiettivo, vanno svolgendo
ogni giorno a beneficio delle emittenti televisive in servizio disinformativo permanente. Con lo stesso piglio deciso, anche se con minor dispendio di parole, gli ha fatto eco il suo omologo leghista Matteo Salvini, sempre pronto all’invasione di campo nel terreno del “socio”. La domanda era la seguente: «È vero che tra le misure che adotterete, per coprire i costi delle vostre riforme, c’è anche l’abolizione del bonus di 80 euro?»
Per fortuna, sullo stesso argomento, hanno taciuto finora sia il capo del governo, Giuseppe Conte, sia il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Ma non vi sarà da meravigliarsi se anch’essi dovessero ripetere lo stesso refrain, magari con toni più dimessi, e dare altra corta a Renzi, che ha subito menato vanto di quella promessa di Di Maio e Salvini.
E invece è proprio quello uno dei punti su cui un «governo del cambiamento» dovrebbe dar prova di sé: la prova, cioè, del coraggio di cui ha parlato Conte, il coraggio di compiere scelte che potrebbero apparire impopolari ma si collocherebbero, invece, sotto il segno della vera efficienza economica e, al tempo stesso, dell’equità sociale. Non per smontare uno dei mendaci “vanti“ del governo Renzi, ma per mettere a segno una scelta di politica economica che capovolga la logica nefasta di alcuni suoi provvedimenti, adottati con la connivenza e il silenzio acquiescente della sinistra e della destra, dei sindacati e degli organismi padronali, e degli “esperti“ pavidi che imperversano nei talk show e sui giornali.
Tutti costoro – anche se consapevoli (almeno ce lo auguriamo) che quel bonus di 80 euro mensili a 10 milioni di italiani già titolari di un reddito garantito sanciva una ingiustizia verso altrettanti milioni di italiani privi di reddito o con entrate insufficienti alla sopravvivenza mentre non cambiava sostanzialmente la condizione economica dei beneficiari – tacquero, o plaudirono, o subirono passivamente e non ebbero il coraggio di denunciare che, con un cinico colpo di mano, era stato trasformato da Renzi in un “bonus“ (cioè una regalìa governativa) quello che doveva essere, nella delibera presa dal Consiglio dei ministri, un taglio, proporzionale e non forfettario, al “cuneo fiscale“, cioè al costo del lavoro, a beneficio del lavoratore e del datore di lavoro.
Cioè un provvedimento nato da un proposito giusto, che costa 10 miliardi l’anno, era stato trasformato, con l’abilità di un prestigiatore (o, se preferite, di un piazzista) dal signor Matteo Renzi (fresco capo del governo, ma al tempo stesso neo segretario del Pd) in un’operazione da “voto di scambio“ a 25 giorni dalle elezioni europee. Che infatti ne segnarono il clamoroso quanto effimero trionfo con l’inimmaginabile 40,8% dei voti al Pd, che fece impallidire il 25% ottenuto appena un anno prima da Bersani, ma immiseritosi al 18% del 4 marzo scorso.
Mai, nelle migliaia di talk show televisivi e nei milioni di editoriali e commenti sfornati in questi anni dai giornali, si è levata una voce, anche da parte di politici e sindacalisti considerati “battaglieri“ e “agitatori“, per denunciare questa distorsione della economia e della politica, ma anche dell’etica, dell’equità e della giustizia sociale. Solo un economista, di cui nella concitazione della diretta tv non si comprese il nome, ebbe il coraggio pochi mesi fa, in un talk show de La7, di definire quel bonus “una porcata”! Ma è rimasta una isolata, disperata invettiva, nell’assordante silenzio generale.
Speravamo, e continuiamo a sperare, che chi ha messo in piedi «il governo del cambiamento» trovi il coraggio di cancellare quell’avvilente bonus per converetirlo in un benefico taglio del costo del lavoro per imprese che assumono a tempo indeterminato e per chi in quelle imprese lavora.
Speranza vana? Probabilmente sì, dopo che il “parlamento del cambiamento“ ha bocciato (con i voti anche dei deputati del Pd, ovviamente) la proposta di LeU di ripristinare nel “Decreto Dignità” l’articolo 18, cancellato dall’inventore di quel bonus.
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