La Camera ha approvato il decreto Milleproroghe confermando automaticamente la fiducia al governo – la prima da quando si è insediato, posta per evitare l’ostruzionismo minacciato dalle opposizioni – con 329 voti a favore, 220 contrari e quattro astenuti. La scelta di blindare
l’esame del decreto legge con la richiesta del voto di fiducia aveva fatto insorgere le opposizioni, e ma in particolare il Pd, che aveva occupato l’Aula di Montecitorio (foto) attaccando sia il governo sia la presidenza della Camera, accusandoli di “atto eversivo”. Proteste che il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, aveva definito “solo strumentali”. Il rischio ostruzionismo, in nome del quale maggioranza e governo hanno deciso prima di utilizzare la cosiddetta ‘tagliola’ – vale a dire la chiusura anticipata della discussione generale – e poi di interrompere l’esame del testo con la richiesta di fiducia, è stato però solo procrastinato: la contrapposizione fra le forze politiche non ha consentito di raggiungere un’intesa in conferenza dei capigruppo a Montecitorio sul timing per il voto finale e gli ordini del giorno e così, al momento, si profila anche la prima maratona notturna della Legislatura.
Al centro dello scontro si intrecciano questioni di metodo e di merito. Dopo la battaglia sui vaccini, finita con la proroga dell’autocertificazione e dunque il rinvio di una scelta strutturale su un tema delicato che interessa le famiglie italiane, l’attenzione dentro e fuori dalle aule parlamentari si è spostata sul taglio da oltre un miliardo alle periferie dei Comuni. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è personalmente impegnato con i sindaci a ripristinare i fondi, ma l’accordo raggiunto ieri con l’Anci non è stato recepito nel decreto legge: una strategia che, se ha messo in stand by i comuni, non ha convinto le forze di opposizione e il Pd in particolare, che ha continuato a chiedere un intervento immediato per sanare la sforbiciata alle finanze degli enti locali.
Tra l’altro, su entrambi i temi sono giorni che si registrano mal di pancia anche dentro i partiti di governo e proprio la necessità di sanare le crepe nella maggioranza sarebbe – secondo alcuni parlamentari – una delle ragioni che hanno portato l’Esecutivo a blindare l’esame del decreto legge. Ma nel mirino del Pd, sulla cui linea parte del gruppo parlamentare è però critico, finisce anche la scelta del governo di utilizzare una fiducia autorizzata dal Consiglio dei ministri a fine luglio, il giorno prima che il provvedimento venisse pubblicato in Gazzetta ufficiale. Un gesto che viene considerato da Matteo Renzi (pensate da quale pulpito!…) la cartina di tornasole della “cialtronaggine” dei gialloverdi che “fanno carta straccia – ha avuto il coraggio di affermare Alessia Morani, sempre del Pd – delle regole democratiche”, quando il governo presieduto da Renzi (imitato poi da Gentiloni) ha fatto un uso smodato del ricorso al voto di fiducia per imporre al parlamento l’approvazione di leggi importanti e persino la riforma della legge elettorale.
Il presidente della Camera, Roberto Fico – che tra l’altro non ha potuto seguire in prima persona l’andamento dei lavori perchè impegnato con la commemorazione dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfato – chiamato in causa, ha fatto però sapere di essere convinto che la questione non interpelli il Parlamento e che attenga dunque alle scelte politiche del governo. (r. l.)
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