di SERGIO SIMEONE – Mi è tornato in mente in questi giorni un servizio televisivo (non ricordo più l’emittente) di circa trenta anni fa sulla vita degli emigranti italiani in Australia. Il giornalista che conduceva l’indagine ad un certo punto intervistò un operaio calabrese che svolgeva un lavoro molto modesto. Il suo viso era cupo mentre raccontava la durezza della sua vita. Poi però il suo volto si illuminò in un grande sorriso.”Mia figlia va all’Università. E’ brava. Diventerà un ingegnere. E questa sarà la mia vendetta”.
Mi è tornato in mente, trenta anni dopo, mentre, sempre in televisione, assistevo ad un servizio sui migranti nel quale la giornalista faceva notare come un numero notevole dei disperati che attraversano il Mediterraneo su malsicuri barconi sia costituito da minori non accompagnati, spediti da genitori disposti a separarsi da quanto si ha di più caro, i figli, esponendoli anche a rischi gravissimi, nella speranza che abbiano un futuro migliore arrivando in Europa.
Penso che sia chiaro quale sia l’associazione che tiene insieme nella mia mente eventi così lontani nel tempo e nello spazio: la miseria è una condizione di vita molto dura, ma diventa più sopportabile se pensiamo che i nostri figli potranno avere una vita migliore della nostra, diventa invece un inferno se pensiamo che anche ai nostri figli è riservato un destino di stenti ed umiliazioni.
Questi eventi ed il sentimento che vi è sotteso possono aiutare anche a capire perché gli italiani, come dicono molti commentatori, si sono incattiviti e quali sono oggi le preoccupazioni della gente e le aspettative che nutre nei confronti della politica. Il fatto nuovo che assilla i giovani (e di riflesso gli anziani) ed ha determinato la rottura del rapporto di fiducia verso la classe politica è soprattutto uno: si è bloccato l’ascensore sociale. Negli anni 60, per fare un esempio, c’era senza dubbio meno benessere di oggi, ma allora un operaio poteva sperare che il figlio diventasse ingegnere o medico. Oggi non più. O, comunque, sempre meno.
Rimettere in funzione l’ascensore sociale può essere allora l’arma vincente della sinistra per battere quello che viene definito, indistintamente, populismo. La caratteristica fondamentale di questo movimento infatti è quello di essere tutto schiacciato sul presente. La sinistra invece deve saper parlare di futuro. Deve saper prefigurare una società in cui i giovani di oggi possano essere parte attiva. Di qui nasce la centralità della scuola, che deve essere portata a livelli europei ed accessibile a tutti, contrastando i tagli dei fondi ad essa destinati.
Pietro Grasso, bisogna dargliene atto, è stato l’unico a cogliere il carattere cruciale di questa battaglia, proponendo, in campagna elettorale, l’abolizione delle tasse universitarie. Ma il mite e garbato gentiluomo fu travolto dagli schiamazzi (ma dove sono le coperture?) proprio di chi proponeva (e poi attuava) clamorosi sfondamenti di deficit. Questa bandiera pare sia sta raccolta dal rinato movimento studentesco che si sta mobilitando in questi giorni proprio sulla base della parola d’ordine del diritto allo studio. La sinistra non si distragga: gli studenti le stanno servendo un formidabile assist.
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