«Quanno ce vo’ ce vo’». Con un’espressione presa a prestito dal gergo romanesco, il ministro del Lavoro e vice presidente del Consiglio, Luigi Di Maio (nella veste, però, in questo caso di capo politico del M5s) ha confermato i suoi giudizi (in realtà invettive sommarie e generalizzate) sui giornalisti pronunciati subito dopo l’assoluzione di Virginia Raggi. «Il processo alla Raggi – ha detto a ‘Non è l’Arena’ di Massimo Giletti su La7 – è stato trasformato nel processo ad Al Capone. Posso avere il diritto di arrabbiarmi?». Quindi nessun passo indietro: «I titoloni dei giornali hanno dimostrato lo stato della stampa in questo paese: troppi giornalisti peccano di disonestà intellettuale».
Questo è vero per alcuni giornali e per un pugno di giornalisti, ma non si può prendersela con una intera categoria, come ha fatto Di Maio e come ha fatto Di Battista con uno dei suoi video dall’America Latina. E questi comportamenti si pagano fino a diventare autolesionisti tanto da far passare chi li assume.
E infatti ecco partire dall’Ordine dei giornalisti la prevedibile iniziativa disciplinare, poiché Di Maio è anche giornalista pubblicista, iscritto all’Ordine della Campania, che comunica: “In relazione alle affermazioni del vicepremier e ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, giornalista pubblicista iscritto all’Ordine della Campania, rilasciate in seguito all’assoluzione del sindaco di Roma, Raggi, l’Ordine della Campania – dice il presidente, Ottavio Lucarelli – seguirà le procedure previste dalla normativa vigente”. Pertanto, aggiunge, anche “dopo le numerose segnalazioni giunte, gli atti saranno trasmessi al Consiglio di disciplina regionale, così come previsto dalle norme”. E così un giustamente favorevole esito giudiziario per la sindaca Raggi si trasforma in un boomerang per il M5s grazie alla pessima abitudine di alcuni suoi esponenti di aprire bocca a sproposito e dare fiato ad esternazioni estemporanee.
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