QUEST’ITALIA/Le Catacombe di San Gennaro, “La Paranza”, il cardinale-vescovo e il cardinale-archeologo. Ci vuole un miracolo?

di SERGIO SIMEONE – Chi non ha mai visto la irresistibile gag di Roberto Benigni e Massimo Troisi  alle prese con il gabelliere ottuso nel film “Non ci resta che piangere”? Nel passare il confine tra due Stati italiani nell’anno 1492 il gabelliere chiedeva “quanti siete, cosa portate?” e poi soggiungeva, in maniera meccanica senza attendere la  risposta “ un fiorino”. I due tentavano di ragionare con il gabelliere,  di illustrare la loro particolare situazione (stavano tentando, nientemeno,  di impedire a Cristoforo  Colombo di salpare da Palos e di scoprire l’America), ma il gabelliere sembrava non vederli e non sentirli e ripeteva come un automa: ”Quanti siete, cosa portate? Un fiorino”.

Questa gag ci ha fatto molto ridere, ma rappresenta, in forma comica, una situazione storica reale, quella dei tanti staterelli italiani, che, all’epoca,   cercavano di ricavare cospicue risorse finanziarie spremendo i mercanti che dovevano attraversare il loro territorio. I gabellieri erano lo strumento per realizzare questa “politica finanziaria” e dovevano essere perciò inflessibili e spietati: era inutile che i mercanti si inventassero delle scuse per sottrarsi al pagamento della gabella. Dovevano pagare e basta. A questa logica naturalmente  non si sottraeva  lo Stato Pontificio, che usava gli stessi sistemi degli altri Stati italiani.

Poi, come sappiamo, questi staterelli sono stati cancellati, ad uno ad uno, dal Risorgimento, compreso, buon ultimo,  lo Stato Pontificio. E, dunque, direte voi, è scomparsa anche la figura del gabelliere. Ed invece no, proprio il Vaticano ha voluto conservare questa figura, che è riapparsa a Napoli nelle sembianze di monsignor Gianfranco Ravasi (foto a sinistra). Il quale, in qualità di presidente della Pontificia Commissione per l’Archeologia Sacra, ha comunicato al cardinale Sepe (foto a destra), nella qualità anche di vescovo di Napoli, che il Vaticano esige il versamento del 50% degli incassi ricavati dai biglietti d’ingresso alle catacombe di San Gennaro.

Per capire le “ragioni” di questa pretesa occorre fare cenno alla vicenda che ha avuto grande rilievo sulla stampa locale della Campania, ma un po’ meno su quella nazionale.

Le catacombe di San Gennaro sono un  sito archeologico di notevole interesse, che però era scarsamente visitato (5000 visitatori all’anno) a causa dell’incuria in cui era tenuto , finché, su ispirazione di un prete coraggioso ed intelligente (don Antonio Loffredo – foto a lato), non è stato rilevato da una cooperativa, La Paranza, costituita da 50 giovani del rione Sanità (uno dei quartieri “difficili” di Napoli). Questa  cooperativa ha restaurato il sito e ne ha ammodernato la gestione ed è riuscita a portare il numero di visitatori da 5000 a 100.000 nel 2017 e probabilmente 150.000 nel 2018. A questo punto è comparso sulla scena il gabelliere, monsignor Ravasi, il quale, sulla base di un vecchio diritto privo di doveri, esige il versamento di 700.000 euro.

Si è cercato di far ragionare il monsignore: la cooperativa non è in grado di sostenere un tale onere. Fallirà. Si perderanno 50 posti di lavoro. Soprattutto verrà cancellato un  progetto che potrebbe costituire un esempio anche per altri quartieri “difficili” di Napoli. Si vanificheranno gli sforzi di un prete che lotta ogni giorno per salvare i giovani dalla camorra. Ma il monsignore finora sembra reagire come il gabelliere del film di Troisi e Benigni: dovete pagare e basta.

È partito un appello a Papa Francesco firmato da migliaia di persone per salvare la cooperativa La Paranza. E noi siamo convinti che il Papa dell’Evangelii gaudium, il Papa che reso omaggio a don Milani ed ha promosso la beatificazione di monsignor Romero, saprà trovare la giusta soluzione a questa vicenda. Sennò non ci resta che sperare che San Gennaro in persona scenda in campo. Magari rifiutandosi di ripetere il miracolo dello scioglimento del sangue.

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