Chiede allo Stato un risarcimento di 66 milioni per i 22 anni trascorsi in carcere da innocente. Fu costretto a confessare l’uccisione di due carabinieri. Ma quanti altri casi!

Oltre 66 milioni di euro per aver scontato anni di carcere da innocente. E’ il risarcimento chiesto da Giuseppe Gulotta, vittima di un errore giudiziario per l’omicidio di due giovani carabinieri della caserma di Alcamo Marina del 26 gennaio del 1976. Arrestato e condannato all’ergastolo, quando aveva 18 anni, venne assolto dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, dopo una lunga serie di processi e 22 anni passati dietro le sbarre. “I giudici stabilirono che la confessione venne estorta e gli venne riconosciuto un risarcimento di sei milioni e mezzo di euro” dice all’Adnkronos l’avvocato Baldassare Lauria, spiegando che il ragionamento della Corte è che “possono liquidare soltanto l’indennizzo per i giorni che Gulotta ha espiato in maniera indebita”.

“A ben vedere il giudice, se gli portano un verbale falso, sbaglia ma non è colpa sua. Compie un errore solo perché altri hanno fatto qualcosa che non dovevano”. “Per quanto riguarda l’atto illecito, compiuto dai carabinieri, sosteneva la Corte di Reggio, non può essere la magistratura: il loro errore è legato a condotte illecite di altri”.

C’è, poi, un secondo pilastro che è l’azione risarcitoria. “L’Italia nel 1984 firmò la convenzione di New York per la prevenzione della tortura in cui si impegnava a codificare il reato e, quindi, a predisporre una serie di strumenti per prevenirla. Ma è stato codificato soltanto nel 2016, cioè, a una distanza siderale rispetto all’84 – denuncia l’avvocato -. Nelle more è intervenuta anche la Corte europea dei diritti dell’uomo in merito ai fatti di Genova, condannando l’Italia per non aver previsto strumenti di prevenzione e il reato di tortura”.

L’azione ha, quindi, due destinatari. Da un lato, conclude l’avvocato, “l’Arma e dall’altro la Presidenza del Consiglio dei Ministri in quanto rappresentante dello Stato che ha omesso di adempiere agli ordini internazionali”.

Chiara Moretti (Adnkronos)

MA QUANTI ALTRI CASI!

“In Italia oltre mille casi all’anno di innocenti finiti in carcere che vengono risarciti, ma in realtà sono molti di più”. A denunciarlo, parlando con l’Adnkronos sono Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi, fondatori del sito ‘errorigiudiziari.com‘, il primo e più grande archivio online con tutti i casi. “Sulla base degli ultimi dati, che vanno dal ’92 alla fine dell’anno scorso, i casi sono oltre 27mila e 200”. Per i risarcimenti lo “Stato ha speso fino a oggi oltre 700 milioni di euro”, pari a circa “28-30 milioni di euro in media ogni anno”.

“Negli ultimi anni, i fondi stanziati per questa voce di bilancio sono stati sempre di meno – spiegano -. Anche per questo è invalsa la prassi di una maggiore severità nella valutazione delle domande di risarcimento. Questo significa che del totale delle domande presentate, solo la metà viene accolta. Quindi la media di mille è probabilmente bassa, sono in realtà almeno il doppio”.

Quando si parla di innocenti in carcere bisogna distinguere tra ingiuste detenzioni ed errori giudiziari. “L’errore giudiziario è quello di cui è stato vittima Giuseppe Gulotta, che è stato condannato con sentenza definitiva, ma alla fine con un processo di revisione è stato assolto”.

La stragrande maggioranza di casi in Italia è fatta da ingiuste detenzioni. “Si tratta di persone che finiscono in custodia cautelare, in carcere o agli arresti domiciliari, e poi, invece, risultano innocenti perché archiviati o assolti”.

Tra le principali cause troviamo lo scambio di persona. “Si accusa uno al posto di un altro sulla base del riconoscimento da parte delle presunte vittime – fanno notare Maimone e Lattanzi -. L’esempio classico è quello della rapina in banca con il testimone oculare che sbaglia a individuare il responsabile nel riconoscimento fotografico”.

Sul banco degli ‘imputati’, denunciano, anche “le cosiddette scienze forensi”. “Le immagini delle telecamere di sorveglianza sono riconoscimenti antropometrici. Abbiamo decine di casi nel nostro archivio di persone che vengono apparentemente riconosciute dai fotogrammi, e poi si scopre che l’arrestato quel giorno era a 25 km di distanza”. Per quanto riguarda tutto il Sud Italia, aggiungono, “c’è la questione dei collaboratori di giustizia e dei pentiti”. “Per regolamenti di conti tra loro, tra famiglie, spesso accusano qualcuno che in realtà è innocente. Prima che si riesca a dimostrarlo, il malcapitato si fa anni di carcere”.

Un caso per tutti, quello di Angelo Massaro. “E’ stato 21 anni in carcere da innocente – spiegano dal sito ‘errorigiudiziari.com’ – per le intercettazioni telefoniche”. Il motivo? “Chi ascoltava la telefonata in dialetto tarantino alla moglie ha sentito ‘muert’, invece, di ‘muers’. Capiscono quindi che abbia detto alla sua signora: ‘guarda ho il morto dietro in macchina. Ma la cosa grave è che nessuno, in seguito, ha verificato, ha incrociato indizi e prove, approfondito, ragionato anche solo in base al buon senso”. “Chi ascoltava ha sentito male, distrattamente, velocemente, chissà come. Ma dal suo errore è scaturito un dramma per un uomo” concludono, sottolineando come “non sarebbe stato difficile dimostrare l’innocenza di Massaro, se solo si fosse indagato con precisione, scrupolo, professionalità”. (c. m.)

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