OSSERVATORIO AMERICANO/ La riforma elettorale dei democratici: altruismo o gioco di potere?

 

di DOMENICO MACERI* – “Stanno cercando di rivestire questo gioco di potere con cliché di democrazia…. ma la proposta consiste semplicemente nel cambiare le regole a beneficio di un partito”. Con queste parole sul Washington Post, il senatore repubblicano del Kentucky Mitch McConnell, presidente del Senato, cercava di silurare un disegno di legge del Partito Democratico che modificherebbe molte procedure elettorali. Il disegno di legge H.R.1  (House Resolution 1), cosiddetto “For the People Act”, apporterebbe un numero di cambiamenti al sistema elettorale che amplierebbe la democrazia, anche se il Partito Repubblicano ne farebbe parzialmente le spese nelle urne.

Si tratta di un disegno di legge solido non solo per le 571 pagine di testo. La proposta verte su quattro aree principali che includono l’ampliamento al voto, gli aspetti finanziari della campagna elettorale, le leggi etiche e la protezione delle elezioni da interferenze straniere.

Come si sa, meno del 50 per cento degli americani si reca solitamente alle urne, cifra bassa comparata a quella di molti altri Paesi democratici. Per ampliare la partecipazione il disegno di legge permetterebbe l’iscrizione ai registri elettorali online anticipatamente ma la dichiarerebbe legale anche lo stesso giorno dell’elezione per le contese federali. Toglierebbe il diritto alle legislature statali, spesso dominate dai repubblicani,  di stabilire i distretti elettorali assegnando il compito a commissioni indipendenti, rendendoli più competitivi. Garantirebbe il diritto di voto agli ex detenuti e migliorerebbe l’accessibilità al voto agli handicappati. Impedirebbe l’esclusione dalle liste elettorali i cittadini che saltano un’elezione e al momento li costringe a una nuova registrazione  e stabilirebbe il giorno delle elezioni come festa federale pagata per facilitare l’esercizio del voto. Il Distretto Federale di Washington D.C., più popoloso del Vermont e del Wyoming, diventerebbe uno Stato, meritandosi due senatori e un parlamentare per rappresentare i suoi cittadini.

Il finanziamento delle campagne politiche verrebbe anche modificato riducendo l’influenza del denaro. Colpirebbe Citizens United, la decisione della Corte Suprema che ha legittimato fondi quasi illimitati ai Super Pac, che escludono l’identificazione dei contribuenti. Aggiungerebbe anche un’opzione per finanziamenti pubblici alle elezioni con un match di 6 dollari per ogni dollaro contribuito in piccole somme per le elezioni presidenziali e parlamentari (massimo piccolo contributo di 200 dollari).

Le dichiarazioni di dieci anni di redditi dei candidati per presidente e vice presidente dovrebbero essere rese pubbliche.

Verrebbe affrontata anche la corruzione in politica. I legislatori non potrebbero spendere fondi pubblici in caso di accuse di molestie sessuali come hanno fatto fino ad adesso.

La sicurezza delle elezioni verrebbe anche affrontata alla luce delle presunte interferenze russe nelle elezioni del 2016 e la precarietà del sistema che in molti Stati si basa su macchine elettroniche potenzialmente soggette all’hacking.

Il disegno di legge richiederebbe una copia cartacea dei voti per garantire  sicurezza ed evitare hacking. Richiederebbe inoltre chiarezza sugli annunci politici in Internet per identificarne l’origine ed evitare influenze straniere. Le aziende digitali come Facebook, Google, eccetera dovrebbero stabilire una banca dati con liste di annunci pubblicitari politici pagati per 500 dollari o più aumentando in questo modo la trasparenza. Il comitato di insediamento di un nuovo presidente dovrebbe rendere  pubblici i contributi e le spese onde sapere se fondi da Paesi stranieri cerchino di comprare influenza politica.

Il disegno di legge è sponsorizzato da 221 parlamentari, tutti democratici e con ogni probabilità sarà approvato alla Camera non appena le acque sullo shutdown si saranno calmate.

Le obiezioni di McConnell, però, fanno capire che il Senato non lo prenderà in considerazione e quindi non diventerà legge, anche perché l’attuale presidente Donald Trump non lo firmerebbe. I contenuti però ci dicono che farebbe fare dei passi avanti per rafforzare la democrazia soprattutto alla luce dei recenti problemi emersi della ipotetica influenza russa sul voto del 2016. Inoltre, la facilitazione dell’esercizio al voto avvicinerebbe gli Usa all’ideale di democrazia.

H.R.1 fisserebbe alcune regole federali in un sistema elettorale basato in gran parte su un mosaico di leggi che riflettono il controllo statale. Questo potere locale sulle elezioni non verrebbe eliminato, ma l’imposizione di alcune regole lo renderebbe più affidabile e omogeneo.

Il disegno di legge dei democratici non è completamente altruista ma va lodato per i suoi principi, anche se non diventeranno legge nel prossimo futuro poiché i repubblicani non si interessano, vedendolo come svantaggioso per il loro futuro politico, che prospera in elezioni con scarsa partecipazione. Ma anche se  H.R.1 non dovesse mai essere approvato, conserva la sua validità come ideale a cui aspirare, poiché la democrazia si nutre dell’attiva partecipazione popolare. Inoltre stabilisce le priorità del Partito Democratico che potrebbero dare frutto nel futuro con l’elezione presidenziale del 2020.

La League of Women Voters, un gruppo non partisan che promuove la partecipazione al voto, si è schierata a favore di H.R.1 coinfermando che i democratici sono sulla strada giusta non solo dal punto di vista pratico ma anche dal punto di vista ideale.

*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com).

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