di SERGIO SIMEONE* – Ricordate la favola di Cappuccetto rosso? Il Lupo, per raggiungere il suo scopo (divorare la bambina mandata dalla mamma a far visita alla nonna malata che abita nel bosco), si introduce nella casa della vecchina, la divora e poi indossa i suoi abiti e si infila nel suo letto. La bambina, sopraggiunta poco dopo, è convinta che nel letto ci sia davvero la sua nonna, finché il lupo, dopo un breve dialogo, rivela la sua vera identità, si avventa su Cappuccetto Rosso e la divora.
Matteo Salvini, come il lupo di Perrault, dopo aver trascorso i suoi primi 40 anni insultando i meridionali con i peggiori epiteti e battendosi nella Lega nord per ottenere la secessione della “Padania” dal resto dell’Italia, da abbandonare al suo destino come inutile zavorra, ha pensato ad un certo punto che per raggiungere il suo scopo gli convenisse travestirsi da patriota: ha modificato semplicemente il nome del suo partito eliminando la parola nord e si è dichiarato pronto a battersi per il bene di tutti gli italiani, compresi i meridionali. Non ha avuto nemmeno bisogno di ritirarsi (come fa il trasformista Brachetti) per un attimo dietro un paravento, perché una moltitudine di meridionali credesse o facesse finta di credere alla sua trasformazione. Alcuni perché è loro abitudine infiltrarsi nei partiti che sono al governo (come mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti), altri per servilismo plebeo verso il potente di turno (per la serie “Franza o Spagna purché se magna”), altri per stupidità.
Ma il momento dello svelamento della vera natura del partito di Salvini e del suo obiettivo (quello della secessione del nord, se non formale, di fatto), potrebbe essere molto vicino. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha infatti annunciato che entro il 15 febbraio il Governo dichiarerà la sua posizione sulla trattativa in corso tra lo Stato e le tre Regioni del Nord che rivendicano il riconoscimento di una loro esclusiva competenza in tutta una serie di materie con relativo uso di risorse da sottrarre alla solidarietà nazionale.
La vicenda ha dell’incredibile: sta per essere presa, dal Governo prima e dal Parlamento poi, una decisione su una questione di enorme rilevanza (ben più importante della TAV), che potrebbe comportare la rottura della unità nazionale, eppure tutto è avvolto nel più fitto mistero. La ministra per gli Affari Regionali, Erika Stefani (leghista pura e dura), a cui è stata delegata la trattativa, è abbottonatissima. La televisione, che ci fa assistere ad interminabili sproloqui dei politici su tutto, non dà nessuna informazione e non ritiene opportuno ospitare alcun dibattito per farci capire quale sia la posizione dei singoli partiti sul tema. Insomma sta tutto andando secondo i piani del «lupo» Salvini.
Stupisce in particolare il silenzio di Di Maio, leader di un movimento che nel Mezzogiorno ha raccolto una quantità enorme di voti. Ma lui, che dovrebbe preoccuparsi di tutelare gli interessi del proprio bacino elettorale, è tutto impegnato invece a sostenere le lotte dei gilet gialli francesi. L’unica dichiarazione che ha fatto sulla autonomia differenziata è stata quella che ha pronunciato alcuni mesi fa durante un tour in Veneto, con la quale ha assicurato che l’autonomia differenziata si farà. Ma in che termini? Boh. Non vorremmo che Di Maio abbia ceduto sull’autonomia in cambio della non opposizione leghista al reddito di cittadinanza.
Stupisce, però, molto di più, il silenzio del PD per due ragioni: perché compito principale della opposizione è esercitare una stretta sorveglianza sulla politica del governo, e poi perché un partito di opposizione, non essendo frenato, come può esserlo un partito di governo a volte da inevitabili compromessi con i suoi alleati, è più libero di esprimere la propria posizione su ogni argomento. Eppure i consiglieri regionali campani del PD, per fare solo un esempio, a pochi giorni ormai dal fatidico 15 febbraio, hanno dovuto accodarsi ad una mozione del gruppo di Forza Italia nel chiedere che il governo incontri il presidente della Regione perché tenga conto, prima di decidere, anche della sua posizione sull’argomento. Insomma non è finora alle viste nessun cacciatore che ci salvi dal «lupo Salvini».
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato dirigente del sindacato Scuola della Cgil.
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