di ENNIO SIMEONE – Mentre nel Consiglio Superiore della Magistratura i vertici della categoria si scambiano accuse velenose, seguite da dimissioni e incriminazioni, per trattative sottobanco con i politici nell’assegnazione delle cariche nelle principali Procure, vi sono altri magistrati inquirenti che impiegano il loro tempo nel dare la caccia ad ipotesi di reato meritevoli di miglior sorte negli archivi polverosi della Giustizia italiana.
Si apprende infatti (perché correttamente ne ha dato notizia la stessa destinataria) che la sindaca di Torino Chiara Appendino ha ricevuto un avviso di garanzia in relazione alle indagini per una consulenza che la Fondazione per il Libro ha affidato al suo ex capo ufficio stampa, Luca Pasquaretta, per questo motivo indagato per peculato.
La sindaca – come è costume del Movimento 5 stelle – ne ha informato l’opinione pubblica con un post in cui precisa: «Quando, alcuni mesi prima dello svolgimento del Salone del Libro, circolò sui giornali questa ipotesi (ndr: cioè la nomina di Pasquaretta), risposi in aula a un’interpellanza dichiarando che non era assolutamente intenzione dell’amministrazione procedere in tal senso. Nonostante questa posizione, quella consulenza venne comunque affidata dalla Fondazione». Appendino aggiunge che «secondo la ricostruzione dei pm, questa consulenza non fu poi svolta dall’interessato e, per questo, viene ipotizzato il peculato. Nel mio caso si ipotizza il ‘concorso’ nello stesso reato poiché, secondo i pm, la consulenza sarebbe stata affidata e pagata, cito testualmente, con il mio ‘accordo’».
Poi si dice (e alcuni magistrati lo ripetono spesso) che la cronica lentezza della giustizia in Italia dipende dalla scarsità di personale. Bisogna solo intendersi sul significato che si attribuisce a questo termine.
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