di RAFFAELE CICCARELLI*/ Ci sono partite, nella storia del Calcio, che nel corso degli anni sono diventate terreno di scontro in cui l’aspetto sportivo è finito per diventare secondario, superato da contrapposizioni ideologiche, politiche o religiose, vere battaglie non cruente, ma non sempre, tra due eserciti su opposte barricate. In genere sono i derby a caratterizzare questi tipi di confronti, perché contengono innato lo spiccato senso identitario e la voglia di predominio interno, ma le vere classiche, chiamate tali per distinguerle dai derby ma anche per dargli quella connotazione di partita “diversa”, non conoscono limiti geografici. Il confronto tra Barcellona e Real Madrid è quello che più avvince sotto questo aspetto, gli incidenti che avvennero in Dinamo Zagabria-Stella Rossa, nel 1990, furono addirittura le scintilla che appiccò il fuoco, già latente, della Guerra dei Balcani, senza arrivare a questi picchi di tragicità a questo elenco possiamo tranquillamente aggiungere la sfida tutta italiana tra Inter e Juventus.
Il “Derby d’Italia” non è mai una partita come le altre. Una partita che contiene quasi tutto il calcio italiano, rappresentato da queste due squadre che ne sono il simbolo, che da sempre si sono affrontate sul campo, dal lontano 1909, quando non esisteva ancora la Serie A, né un confronto, nemmeno accennato, tra Nord e Sud, troppo opulento e industrializzato il primo, troppo lontano e ancora rurale il secondo, e allora erano loro, insieme al Genoa, ad infiammare le arene calcistiche, in quella che allora era chiamata Prima Categoria. L’esordio assoluto tra queste due squadre avvenne a Torino il 14 novembre del 1909, con vittoria bianconera per due a zero (doppietta di Borel), il primo in casa interista due settimane dopo, il 28 novembre, all’Arena Civica di Milano, con vittoria nerazzurra grazie ad una rete di Engler.
Tra storia e statistiche. Divennero subito un tabù quelle trasferte meneghine per la Juventus, le sconfitte, anche clamorose, con un paio di sei a uno, si succedevano alle sconfitte, intervallate solo da qualche sporadico pareggio. Bisogna aspettare il 17 maggio 1928, in quella che era diventata Divisione Nazionale, perché la Juventus potesse per la prima volta festeggiare in campo avverso, allo stadio “Virgilio Fossati”, con una sonante vittoria per quattro a uno contro l’Inter allenata da Arpad Weisz, allenatore che poi avrebbe conosciuto una tragica fine nei campi di concentramento. Nel corso degli anni, con le vittorie che accumulava la Juventus e la stessa Inter, con i suoi successi internazionali, la rivalità si è acuita, finendo per rappresentare dei modi di essere di due popoli contrapposti, con i primi a trionfare soprattutto in patria, i secondi aggiungendo trofei internazionali alle più sporadiche vittorie interne. È dagli anni Ottanta, però, che il confronto si è fatto più aspro, sino a diventare drammatico nei Duemila, tra Calciopoli, retrocessioni bianconere, scudetti assegnati in maniera ritenuta ingiusta e tutto un corollario di confronti che ha portato la sfida su un piano totale.
Inter-Juventus di domenica prossima. Ora a questa partita si giunge, magari presto per essere decisiva, con l’Inter capolista e maggiore candidata a insidiare l’indiscusso, da otto anni, trono bianconero, con i nerazzurri fermi al triplete mourinhiano del 2010. La sfida di Milano è anche il confronto tra due allenatori, due correnti di pensiero, uno, Antonio Conte, chiamato a dare regole certe dove ce n’erano poche, suo patrimonio genetico degli anni juventini; l’altro, Maurizio Sarri, arrivato per dare un gioco più accattivante là dove tutto si deve omologare e seguire regole precise, in nome della vittoria. L’uno è andato per trasformare la squadra, l’altro per trasformare soprattutto sé stesso. È il tema nel tema di un match dalle mille sfaccettature, che poi sarà affidato al verdetto del campo e dei suoi giocatori, la truppa nerazzurra guidata dalla potenza di Romelu Lukaku e dalla sfrontatezza dei giovani Nicolò Barella e Stefano Sensi, quella bianconera con l’indiscusso Cristiano Ronaldo in testa e i tanti campioni al suo seguito, pronti a difendere il reame diventato dittatura, una “guerra di mondi”, una sfida affascinante nel nome del calcio.
*Storico dello sport
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