di SERGIO SIMEONE* – Le dichiarazioni di tutti i leader dei partiti su cui si regge il governo giallo-rosso in questi giorni grondano indignazione per i duecento insulti che la senatrice Liliana Segre riceve quotidianamente via web per il solo fatto di essere ebrea, con “l’aggravante” di essersi salvata dai campi di sterminio. Tutti i leader di questi stessi partiti hanno scagliato veementi invettive contro i parlamentari di destra che si sono astenuti sulla proposta di creare una commissione parlamentare per combattere il razzismo su proposta della senatrice Segre. Tutto giusto, il razzismo va denunciato e combattuto senza esitazioni. Ma noi saremmo curiosi di sapere quanto consenso ha perduto Salvini dopo questa indegna scelta del centrodestra. Io sono sicuro che non ha perduto nemmeno un voto.
Salvini non perde voti perché sta vincendo la battaglia culturale tesa ad orientare il senso comune della gente verso posizioni retrive e xenofobe. E’ una battaglia culturale, dunque, che i partiti di sinistra e progressisti devono condurre se vogliono riconquistare l’egemonia perduta. Ma come si fa a conseguire dei risultati su questo terreno? Non con le parole, ma con fatti significativi che scuotano l’opinione pubblica e facciano riflettere e discutere.
Uno di questi fatti potrebbe essere l’approvazione dello ius culturae . Provate ad immaginare. Infatti, che cosa succederebbe se, approvata la legge, ogni scuola, come si fa in Francia, alla fine di un ciclo scolastico organizzasse una grande cerimonia a cui partecipi tutta la scolaresca e venissero pubblicamente e solennemente conferite le nuove cittadinanze. I bambini tornerebbero a casa e direbbero ai genitori: «Oggi a scuola si è fatta una grande festa perché alcuni dei miei compagni di scuola sono diventati cittadini italiani in base ad una legge che il maestro ci ha spiegato». Poiché i possibili nuovi cittadini sono circa un milione e in ogni classe ci sono 30 bambini sarebbero milioni le famiglie che verrebbero informate e percepirebbero, attraverso le reazioni emotive dei figli, che un processo di integrazione di questi figli di migranti arricchirebbe la nostra società.
Ma le battaglie culturali, si sa, hanno bisogno di tempo per dare frutti. Sembra più facile e soprattutto più rapidamente redditizio elettoralmente perseguire obiettivi che assecondino gli umori della gente, anche se sono retrivi, invece di cercare di mutarli . Già, sembra. Di Maio dovrebbe saperne qualcosa. Riteneva di aver conseguito un grande risultato con il taglio dei parlamentari in ossequio allo spirito anticasta che lo stesso movimento 5 stelle aveva solleticato e credeva perciò di poter passare all’incasso in occasione delle elezioni in Umbria. E invece ha subito la débacle che tutti conosciamo. Di Maio però non sembra aver appreso la lezione e continua a punzecchiare il governo con l’intento di piazzare le sue bandierine. Anche se questo suo agitarsi, insieme con quello del suo concorrente Renzi, danno l’idea di un governo privo di un progetto condiviso sia agli italiani che ai mercati finanziari. Che dire? Torna in mente quel motto che nel film “Pane amore e fantasia” il prete don Matteo recitò a suo fratello maresciallo Carotenuto, interpretato da Vittorio De Sica: Quos Iupiter perdere vult, dementat prius (Giove, a coloro che vuol far perdere, prima toglie la ragione”).
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