Il Tribunale del Riesame di Taranto, in sede di appello, ha accolto il ricorso presentato dai commissari dell’Ilva di Taranto, annullando la decisione del giudice Francesco Maccagnano, che respingeva l’istanza di proroga dell’uso dell’altoforno 2, che, quindi, non non verrà spento il 15 gennaio. L’Afo2 fu sequestrato nel giugno 2015 dopo l’incidente costato la vita all’operaio 35enne Alessandro Morricella, investito da una fiammata mista a ghisa incandescente.
Il collegio di giudici (presidente Licci, relatore Caroli, giudice a latere Lotito) ha accolto l’appello proposto il 17 dicembre scorso nell’interesse dell’Ilva, annullando l’ordinanza emessa dal giudice Maccagnano il 10 dicembre e il provvedimento connesso del 12 dicembre concedendo all’amministrazione straordinaria la facoltà d’uso dell’Altoforno 2, subordinata all’adempimento delle residue prescrizioni, in tutto o in parte non eseguite. Scongiurato quindi lo spegnimento dell’impianto. In particolare sono stati assegnati, a decorrere dalla data di deposito dell’ordinanza, “sei settimane per l’adozione dei cosiddetti dispositivi attivi; a decorrere dalla data del 19 novembre 2019 nove mesi per l’attivazione del caricatore automatico della massa a tappare; 10 mesi per l’attivazione del campionatore automatico della ghisa; 14 mesi per l’attivazione del caricatore delle aste della Maf (Macchina a forare, ndr) e sostituzione della Maf”.
“Grande soddisfazione” è stata espressa “dalla struttura commissariale, che ha sempre mantenuto la sua fiducia nei confronti della magistratura” poiché di fatto ora viene concesso altro tempo all’Ilva per ottemperare alle prescrizioni imposte dal custode giudiziario.
Il gup: da Riva nessuna frode, c’era unprogetto di rilancio – Non si “ravvisano quegli indici di fraudolenza necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei suoi creditori”, ma c’era anzi un “progetto di rilancio”. Lo scrive il gup di Milano Lidia Castellucci in uno dei ‘capitoli’ delle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso luglio, ha assolto Fabio Riva, uno dei componenti della famiglia ex proprietaria dell’Ilva di Taranto, dall’accusa di bancarotta per il crac della holding Riva Fire che controllava il gruppo siderurgico, prima che finisse in amministrazione straordinaria. La Procura di Milano, infatti, nei capi di imputazione per bancarotta aveva contestato tutta una serie di operazioni societarie che avrebbero generato “un illecito arricchimento” della famiglia Riva ai danni dell’Ilva (vennero effettuati sequestri di somme all’estero).
Nelle oltre 100 pagine di motivazioni, però, il gup milanese boccia in toto la tesi dell’accusa. “Il contesto in cui l’impresa ha operato – scrive il giudice – caratterizzato da performance e risultati economici che hanno condotto la società a posizionarsi in vetta al mercato siderurgico europeo, e la enorme distanza temporale tra le condotte in contestazione (poste in essere nel ’95-’97) e lo squilibrio tra attività e passività, allocabile nel 2013, inducono a dubitare fortemente della effettiva messa in pericolo della garanzia dei creditori, elidendo il portato dannoso dell’azione”.
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