di ENNIO SIMEONE – E sono arrivate stasera, dopo il preannuncio davanti ai ministri pentastellati, le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico del Movimento 5 stelle, con un discorso, molto franco e argomentato, di oltre un’ora, preparato da circa un mese – come ha precisato – tenuto a Roma nel Tempi di Adriano e trasmesso in diretta da diverse emittenti tv, davanti ai «facilitatori» che avranno il compito di organizzare gli «stati generali» del movimento, convocati per la metà di marzo con l’obiettivo di dare una nuova struttura e nuovi obiettivi programmatici a questa formazione politica nata dieci anni fa. L’onere di reggere in questi mesi l’incarico lasciato vacante da Di Maio è affidato al vice ministro Vito Crimi, in quanto membro anziano del Comitato dei garanti del movimento.
«Molti mi hanno detto di non mollare – ha esordito – ma io non ci penso per nulla. Per quanto mi riguarda si chiude soltanto una fase. Ci sarò e non mollerò mai, continuerò a seguire il M5S». E continuerà, ovviamente, a svolgere il ruolo di ministro degli Esteri.
Accolto dall’ovazione della platea, ha premesso che da oggi «la nostra organizzazione è definitiva. Dopo i facilitatori tematici e quelli organizzativi, finalmente ogni regione avrà persone che si prenderanno cura dei cittadini con più attenzione». E ha ribadito: «Per stare al governo e dare risposte concrete alle persone serve essere presenti sul territorio in maniera organizzata e strutturata. Ho lavorato per un anno a questo progetto, dalle elezioni in Abruzzo del 2019, che ci hanno scosso non poco per il risultato. E adesso posso dire di aver portato a termine il mio compito. Da oggi inizia per il M5S il percorso per gli stati generali, i primi della nostra storia, che saranno un momento importantissimo in cui il M5S traccerà una nuova idea di paese per i prossimi decenni. Lo faremo tutti insieme. Perché rispetto a quando siamo nati 10 anni fa l’Italia è cambiata, anche grazie al M5S».
Con orgoglio ha rivendicato il ruolo svolto dal Movimento per realizzare – sia nel primo che nel secondo governo di cui ha fatto parte – il «progetto rivoluzionario» da cui è nato, pur avendo dovuto affrontare i voltafaccia, i tradimenti, le defezioni da parte di alcuni parlamentari eletti sulla fiducia, sulla parola, e poi venuti meno con motivazioni pretestuose per sottrarsi agli obblighi sottoscritti prima di essere eletti. Lo ha detto con amarezza, ma anche con la certezza che «continueremo ad essere determinanti per l’Italia, perché abbiamo davanti a noi un lungo percorso di crescita».
Ha elencato i punti caratterizzanti della presenza dei 5stelle nei due governi e le leggi approvate – sia il Conte 1, sia il Conte 2 – su iinput del Movimento: «un bilancio che avrebbe potuto essere più ricco se negli ultimi anni – ha ammesso con franchezza – non fossimo andati così spesso l’uno contro l’altro. Avremmo raggiunto risultati ancor più importanti». «Stare al governo richiede fiducia prima di tutto in noi stessi. Ci vuole pianificazione e realismo», ha detto ancora, ribadendo che l’esecutivo deve andare avanti e i risultati arriveranno. Il M5S, del resto, «non può essere giudicato per 20 mesi di governo: dobbiamo avere il tempo di mettere a posto quello che hanno messo in disordine per 30 anni quelli di prima”. Perciò si è scagliato contro il “fuoco amico” perché il rumore di pochi ha fatto danni. Basta pugnalate dalle retrovie!».
E sul suo futuro nel Movimento ha assicurato: «Non lo mollerò mai, è la mia famiglia. E’ la fine di una fase, ma non del mio percorso nel Movimento».
E in conclusione, significativi i ringraziamenti: a Gianroberto Casaleggio (che gli faceva sempre notare con ironia la sua passione per la cravatta e che alla fine del suo discorso si è tolto davanti alle telecamere, come mostra la foto) e Beppe Grillo per la fiducia, e Davide Casaleggio, che è quasi un fratello”, e a Giuseppe Conte, per come ha saputo imparare rapidamente a svolgere il ruolo di guida del governo, senza aver avuto prima alcuna esperienza politica.
In conseguenza delle dimissioni da capo politico del M5s, ora Di Maio cede anche il ruolo di capo delegazione del Movimento nel governo. Che provvederà Crimi a designare: ilnome che sembra più accreditato è quello del ministro dello Sviluppo Economico, Patuanelli.
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