Dal 2 marzo aperti al pubblico gli archivi sul pontificato di PioXII: la verità sull’accusa di aver taciuto sulla Shoah

di GIACOMO CESARIO* –  L’annuncio di rendere accessibili a tutti coloro che si occupano di ricerca e al pubblico dal 2 marzo 2020 gli archivi sul pontificato di Pio XII (1939 – 1958) ha avuto subito una risonanza mondiale. Adesso vi sarà modo di rimeditare e approfondire la statura mal tollerata di uno dei papi più geniali e raffinati del nostro ‘900, con alle spalle una prestigiosa carriera diplomatica, osservano biografi, storici e studiosi, intellettuali ed ammiratori che da anni aspettavano questo momento.

Una pagina di storia che non andrebbe del tutto disattesa, di cui comincia a parlarsi anche sulla stampa internazionale dopo l’annuncio di Papa Francesco che afferma di non aver paura della storia, ma si dice “sereno e fiducioso, sicuro che la seria e obiettiva ricerca storica saprà valutare nella sua giusta luce, con appropriata critica, momenti di esaltazione di quel pontefice e, senza dubbio anche momenti di grave difficoltà, di tormentate decisioni, di umana e cristiana prudenza, che a taluni poterono apparire reticenza, e che invece furono tentativi, umanamente anche molto combattuti, per tenere accesa, nei periodi di più fitto buio e di crudeltà, la fiammella delle iniziative umanitarie, della nascosta ma attiva diplomazia, della speranza in possibili buone aperture dei cuori”.

Sembra più complicato del previsto il lavoro assai impegnativo di raccolta e collocazione dell’enorme numero di documenti (16 milioni di fogli) conservati in originale nel grande archivio segreto del Vaticano riguardanti l’aristocratico Eugenio Pacelli, cardinale e pontefice, nato a Roma il 2 marzo 1876, che ha governato durante e dopo la seconda guerra mondiale, in anni difficili della ricostruzione morale e civile dell’Italia e anche dell’Europa stressata dalle situazioni interne dei Paesi, ferite e umiliate, ed entrambe luoghi simbolo della cristianità. Fu tra i primi a sostenere l’idea di una Europa unita nelle sue radici cristiane, secondo lo spirito che ha sempre contraddistinto il Vecchio Continente.

Tra le vittime dei bombardamenti a San Lorenzo

Mal visto persino da taluni ambienti diplomatici, fu il pontefice ritenuto colpevole di aver taciuto gli orrori del nazismo, ma anche l’uomo che impedì l’irruzione delle S.S. nell’interno dei luoghi gremiti di ebrei e di partigiani braccati dalla polizia tedesca, che offrì asilo e protezione in Vaticano a ebrei, politici, antifascisti, per salvarli dalla deportazione.

Molti ancora oggi lo ricordano con la bianca veste insanguinata, fra le vittime del bombardamento del quartiere di San Lorenzo al Verano il 19 luglio 1943, in mezzo al suo popolo colpito e terrorizzato. E non abbandona più Roma per tutto il periodo della guerra e a chi gli osserva non essere ciò prudente risponde di essere pronto a morire sotto le ruine di San Pietro, se ira di nemici dovesse violare la maestà, sacra a tutte le genti, dell’Urbe Eterna. Sarà lo scultore toscano Andrea Berti nel 1967 a raffigurarlo a braccia allargate in un bel monumento di bronzo, dalle movenze così vive, che par di vederlo muoversi, da attirare subito l’attenzione di chi passa per piazza del Verano a Roma.

Nonostante difficoltà e resistenze che si profilavano da più parti, Pio XII ha sempre tenuto in altissima considerazione la Chiesa e ogni suo intervento per la giustizia e la pace, contro la fame e la guerra. La sua prima enciclica “Summi Pontificatus” del 1939, in cui condanna con vigore ideologie e sistemi totalitari, ma anche il culto dello Stato come ragione suprema sia di guerre che di rivendicazioni di ogni tipo, è un chiaro invito alla pace ormai messa in pericolo e lancia via radio al mondo sull’orlo del baratro il famoso messaggio: “Niente è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra”.

Chi parlava con coraggio in quel momento tragico erano i cardinali tedeschi Faulhaber e Von Galen, perseguitati essi medesimi dal regime nazista, così radicalmente avversi alle sue teorie e alla sua prassi, tanto da richiamare, con i loro pubblici discorsi, l’attenzione di Pacelli che era fornito di tutte le virtù e disponeva di quelle armi che saranno sempre arma di vittoria per la sua Chiesa: la carità, la preghiera, il patire.

Sono gli anni in cui, lontano da alti comandi, si impegna con totale dedizione a salvare uomini e valori senza alcuna distinzione di fede e di ideologia politica. L’impressionante opera dell’ufficio informazioni e dell’ufficio soccorsi, ramificata attraverso le più complicate e impensate vie per raggiungere prigionieri e deportati in ogni parte del mondo al fine di riallacciare un provvisorio contatto tra persone care, senza più notizie l’una dell’altra, stava già a dimostrare con quale insistenza e intransigenza Pio XII si preoccupasse di difendere i perseguitati, di sollevare le pene dei sofferenti, di attenuare le angosce delle vittime della guerra. E ancora l’offerta dell’oro per il riscatto degli ebrei di Roma, le difficili pratiche per far dichiarare Roma “città aperta”, le continue visite organizzate con una ragione o l’altra ai campi di concentramento, le denuncie del disumano trattamento inflitto ai prigionieri, agli inermi, ai bambini, alle popolazioni, specialmente ai polacchi (Discorsi, Vol. V, 76-78), a tutti i profughi e alle vittime dei bombardamenti; i tentativi replicati per abbreviare il conflitto che riempiono con i solo titoli ben quattro pagine dell’Indice dei suoi Discorsi (pagg. 450-453), la riprovazione esplicita delle teorie naziste e la dichiarata radicale incompatibilità di esse con la dottrina cristiana; gli interventi presso Mussolini tramite padre Tacchi Venturi, ed anche con sollecitazioni personali, “perché fosse risparmiata all’Italia una guerra che si annunzia lunga e difficile”, le pressioni esercitate attraverso padre Pancrazio Pfeiffer onde si riuscì a sottrarre decine di condannati a morte ai campi di sterminio, la tolleranza con cui permetteva che sacerdoti, parroci, religiosi nascondessero in Roma gente di ogni tendenza esposta al pericolo, ebbene la somma di questi interventi eccezionali, radunati in corpose pubblicazioni ufficiali di difficile accesso, stanno a dimostrare l’opera silenziosa dell’immensa macchina messa in moto con tanta discrezione ed efficienza da Pio XII.

Al Papa preme soprattutto dissentire da ogni forma di totalitarismo, da quei nati regimi che, nel XX secolo, dichiarando di agire in nome dell’ideologia, perpetravano, invece, crimini ed efferatezze. Era convinto da mille episodi che il mondo stesse andando verso l’ateismo, e nel suo ruolo di pontefice, a conflitto già finito, cercò di opporsi a questo grave pericolo con la condanna nel 1949 del comunismo che prevedeva la scomunica per coloro che ne professavano la dottrina.

Di fronte ai problemi molteplici anche ecclesiali che sono maturati ed esplosi con la catastrofica guerra, perduta ignominiosamente, nulla sfugge alla sua sensibilità di Pastore supremo, alla sua saggezza di uomo di governo e all’acutezza illuminante della sua carità. Egli sentiva, con paternità tenerissima, tutta la vita moderna nelle sue manifestazioni più svariate, le più idonee, comunque, allo spirito dei tempi, e recava per ogni sopraggiunto affanno o miseria la comprensione più illuminata. Con tale senso di paternità si era fermato a guardare ed approfondire ogni problema: da quelli del lavoro, della miseria, del pane, a quelli scientifici più alti, profondi e delicati. Così le trattazioni di scienze più disparate, dalla medicina all’astronomia, alla fisica termonucleare diventano, per il Pastore e il Padre, bisogno cristiano, impegno etico, senza nessun pregiudizio contro il progresso della scienza e della tecnica se utilizzate per il bene collettivo.

Nell’affermare il ruolo guida della Chiesa sull’umanità, sostenne nel dopo guerra una linea dottrinale scrupolosa non priva di originali anticipazioni nella concezione della Chiesa, nella riforma liturgica e negli studi biblici, poi sviluppate dai suoi successori. Non abbandona del tutto l’idea di indire un Concilio, ci pensa a lungo, cosa che fa presentire che i tempi di apertura al mondo da parte della chiesa non sono lontani. E difatti non c’è tema del Concilio Vaticano II che non sia stato sfiorato e suggerito dal suo magistero sempre più impegnativo: dalla riforma liturgica a quella del codice di diritto canonico, dall’abolizione del digiuno eucaristico alla difesa del matrimonio-sacramento, dal rifiuto dell’aborto alla difesa dei diritti umani.

Attento al mondo della cultura

Potrà meravigliare come egli, sommerso da problemi di ogni genere, fosse attento al mondo della cultura e a una varietà di stilemi sebbene a lui non familiari, del tutto nuovi per l’epoca. In più di un’occasione, da umanista autentico, mostrò di apprezzare l’arte nella universalità della sua accezione e la letteratura di ogni tempo, godendo dell’omaggio di opere dei più noti studiosi e artisti di allora, visitando, tra un impegno e l’altro, mostre e collezioni d’arte contemporanea, o quando parlando agli espositori della VI quadriennale di Roma (1953) aveva detto: “Coronate, diletti figli, i vostri ideali di arte con gli ideali religiosi, che quelli rinvigoriscono ed integrano”. In quel discorso, della più ampia apertura, precisava così il suo pensiero: “Quanto sia grata la vostra presenza v’insegna la tradizione stessa del Pontificato Romano che, erede di universale cultura, non ha mai cessato di pregiare l’arte, di circondarsi delle sue opere, di farla collaboratrice della sua missione, ch’è di condurre lo spirito a Dio”.

Maestro, Pio XII anche nel saper predisporre durante le vicende belliche – di cui aveva colto subito il potenziale distruttivo sotto il profilo materiale e ancor più dal punto di vista dei danni spirituali e culturali – il salvataggio delle pregevoli opere d’arte gelosamente conservate nei secoli e per secoli a Roma come nel resto d’Italia, chissà come sfuggite alle infami razzie, offrendo così una prova ulteriore della sua “pietas” (amore) per l’arte da intendersi anzitutto come legame fra Dio e l’uomo. Mentre accade l’inimmaginabile contro chi salva vite umane, egli stesso s’appresta a dare riparo e protezione quanto più possibile e come meglio non si potrebbe, accogliendo ad esempio nei locali della Pinacoteca Vaticana pezzi celebri della pittura e della scultura, mentre in quelli della biblioteca Apostolica e dell’Archivio Segreto Vaticano confluiranno momentaneamente intere raccolte di libri rari, di gran valore, e preziosi manoscritti e numerosi autografi, diversi incunaboli, collezioni private, stampe, fotografie e carte geografiche, codici miniati e pergamene provenienti da biblioteche, abbazie e monasteri. Senza dubbi e riserve, nella sua piena disponibilità, non solo accolse, ma dovette affrontare gravi difficoltà pratiche e giuridiche che accompagnavano l’impresa, dichiarando pubblicamente di “essere disponibile ad accogliere tutte le opere” che si riterrà opportuno depositare provvisoriamente in Vaticano, restando tutte “ovviamente in consegna dello Stato italiano.”

Alla dissennata opera di denigrazione, condotta con successo da ambienti dissenzienti, e alla ignobiltà delle calunnie mai efficacemente contrastate da parte di chi ne aveva il dovere, rispose con fermezza Paolo VI, che fu uno dei maggiori collaboratori delle scelte politiche e nelle imprese di misericordia e di giustizia di Pio XII. Durante il suo viaggio in Terrasanta, parlando di pace dichiarò: “La sua, resta la difesa più ineccepibile e autorevole”. Così come venne e unanime la difesa da parte del popolo romano che a Papa Pacelli “defensor civitatis” intitolò piazze e monumenti, e tuttora continua a ricordarlo nonostante la cortina di silenzio addensatasi intorno alla sua persona, come il più grande pontefice di un secolo ormai tramontato, “molto austero, molto fine e intelligente, molto bello, di una vita mistica e profonda” come appare a Mauriac al seguito di un’udienza concessa a Castel Gandolfo e ricordata da Carlo Bo nella trasmissione televisiva del 28 luglio 1983.

In una mite giornata di ottobre, nel 1958, dopo qualche giorno di malattia, nella quiete di Castel Gandolfo, si spegneva Pio XII, popolarmente definito “Pastor Angelicus” seguendo certa profezia del monaco irlandese Malachia per significare la ieraticità e il fascino sacrale del nobile Pacelli. A ricordarne la grandezza anche una statua di bronzo nella basilica vaticana, opera dello scultore siciliano Francesco Messina. (foto)

La verità sul “silenzio” davanti alla Shoah

Sul “silenzio” di Pio XII davanti alla Shoah è stato scritto a lungo e molto, in difesa e in accusa. Ebbene, cosa emergerà con l’apertura al pubblico dei riordinati archivi il prossimo mese di narzo, proprio in concomitanza con l’ottantesimo anniversario della sua elezione al soglio pontificio, null’altro, mi pare, che lo sforzo supremo di salvare la vita delle persone, la volontà di aprire straordinariamente prospettive alla chiesa, e ancora l’opera sua vasta e molteplice in quasi venti anni di glorioso e travagliato pontificato, che va dal 1939 al 1958, che resta e resterà sempre nobile fatica agli occhi degli uomini, intensamente amati, dei quali era Pastore e Padre, ne conosceva bisogni, pene, aspirazioni, e ai quali recava tutto l’aiuto, tutto il conforto di parole di verità e di soccorsi senza posa, per una guerra cruenta che egli avrebbe voluto impedire.

Passione e dedizione trasfondeva nella impavida azione di Pastore della Chiesa, così come tanta affettuosa attenzione dedicò alla imponente opera di luminose encicliche e discorsi importanti, che purtroppo forse pochi hanno letto e ancor meno hanno capito, ma che tanta luce di dottrina e di fede irradiarono sulla terra, lavorando, come gli umili, all’ombra della discrezione e del silenzio, senza strombazzamenti e attese di lodi, nella fedeltà al Vangelo, innanzi tutto. Non si può fare a meno di leggere o rileggere alcuni suoi testi tra i più documentati, passati alla storia, dai quali risulta che se Pacelli ha taciuto agli orrori del nazismo lo ha fatto non per reticenza ma solo agendo nell’interesse pubblico e in ossequio alla regola del silenzio imposta all’interno dalla chiesa. Scelta in sé oculata, che ha molto di cristiano, che pure attesta una sostanziale fedeltà alla più autentica disciplina ecclesiastica, e per tutto ciò che è compatibile con l’eterna legge divina. Sembra capire che la Santa Sede mentre taceva pubblicamente per non sollevare reazioni da parte dei nazisti, onde evitare lo scatenarsi di minacce e violenze contro gli ebrei, in silenzio e di nascosto dava ordine di soccorrere i perseguitati e metteva in atto una fitta rete di aiuti, di grande efficacia.

Su questa linea e più a fondo dovrà porsi la nuova ricerca dopo decenni di commenti e di analisi più o meno convincenti. Le risposte verranno da quanti studiosi e non solo – avvalendosi della consultazione di documenti finora inediti e comunque disponibili a partire dal 2020 – saranno in grado di esprimere un giudizio, si spera non più vario e cangiante, quanto meno diverso da quello, semplicistico, raccontato fino ad oggi dalle cronache. Non un processo, ma un contributo fondamentale a comprendere ciò che realmente è stato Pio XII, a lungo dimenticato, ma che incuriosisce e appassiona ancora. Diplomatico tra i più illuminati del ‘900, di straordinario fiuto politico, sicuramente tra i più attenti ed esigenti di fronte alla posizione della Chiesa in anni difficili e tenebrosi, ma decisivi della storia del ventesimo secolo, ha cercato, operando, tempi nuovi per l’Italia e per l’Europa. “Di aspetto celeste, luminoso, come se fosse fuori dal mondo” così apparve a Jean Guitton che lo conobbe nel 1958 poco prima della morte. Lui, angelico fra le folle che lo invocava, avrebbe tutte le carte in regola per ascendere agli altari. E chissà se una maggiore chiarezza sul suo operato contribuirà alla canonizzazione del nobile Eugenio Pacelli che meritava, come meriterebbe oggi, migliore fortuna.

*Giacomo Cesario è giornalista vaticanista

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