di FEDERICO BETTA – “Facciamo un buio che cancelli tutto, le madri, i coccodrilli e i telefonini”. Luisa Merloni è in scena al Teatro di Villa Torlonia di Roma, fino ad oggi 1° marzo, con il suo Farsi Fuori, spettacolo/confessione/riflessione meta teatrale e meta umana sul (non) essere madre.
L’attrice (anche autrice e regista del lavoro) ci accoglie parlando direttamente al pubblico, inserendoci da subito in questa sua creazione sulla maternità e sull’essere donna. Sul palco, una finestra aperta sulla sua vita, la protagonista viene visitata da una figura bizzarra, pop e divertente, che le annuncia d’essere “piena di grazia”, la prescelta che ha ricevuto la visita dello spirito santo. “Perché proprio a me?!” si chiede la donna. Perché proprio a me che avevo già fatto i conti con la scelta di non avere figli? Perché proprio a me sembra che tutto sia già stato deciso così come è capitato a Maria? Per lo strambo tramite divino, che per direttive dall’alto parla con comica cadenza argentina come il papà in carica, sembra però non esserci possibilità di scegliere. Perché la decisione d’essere madre è più grande della singola individua, è un costrutto sociale che chiude ogni varco alle donne che hanno deciso di non avere figli. In questo l’Arcangelo, nonostante la sua stralunata presenza, è irremovibile, esser madre è una decisione che si porta dietro un mondo intero, una cultura millenaria, è una rassicurazione cavalcata come un feticcio per non sentirsi mancanti di niente.
Tra telefonate fiume a una madre in crisi con il proprio uomo e riflessioni tanto personali quanto sentite collettivamente, nel confronto tra la neo Maria Vergine e lo sbandato annunciatore su Kant, Lacan, la storia delle religioni e la cultura di massa, si mescolano episodi di vita quotidiana, derive bibliche e archetipi femminili.
Lo spettacolo è diviso in capitoli, con tanto di prologo e epilogo, annunciati da voci fuori campo che miscelano narrazione e poesia, precisa identificazione e astrazione universale. In un continuo ribaltamento tra un qui ed ora recitato senza quarta parete e sequenze più o meno oniriche sulle conseguenze dell’inconsueta decisione di non essere madre, spicca una sezione dedicata al vuoto: alla richiesta di non dover aderire a un canone sociale prestabilito prende corpo il desiderio di non desiderare nulla, che in uno dei passi più sentiti del lavoro arriva alla creazione di un nuovo comandamento: “Ama il vuoto tuo come te stessa”.
Con una forza irradiante su tutto spettacolo, il precetto sottolinea come la vita di ognuno/a possa essere riempita da molte cose, e sottolinea con forza come il concetto di madre e di maternità non sia necessariamente legato all’avere un figlio, ma possa connettersi a un’idea o un progetto, come a quello di una creazione artistica. E proprio intorno a questo tema, si sviluppa un altro dei momenti più coinvolgenti di Farsi fuori, dove l’Arcangelo annunciatore prefigura all’attrice la fatica biblica di dar vita a uno spettacolo, nella sofferenza e nel dolore, nella produzione e nella distribuzione, tanto che pare proprio che l’aver addirittura tre figli possa essere la scelta più conveniente.
Il bravissimo Marco Quaglia e Luisa Merloni ci regalano una performance divertente e poetica, che sviscera consunti stereotipi di genere fino a un capovolgimento finale, dove anche l’Arcangelo ci rivela il suo sentirsi fuori tempo, esausto per un lavoro e un compito che non lo rappresentano più. Dai ruoli sociali all’educazione, dall’eredità del femminismo alle politiche culturali, dal teatro contemporaneo alle fiction di Rai Uno, Farsi fuori ci offre un viaggio dove la fragilità drammaturgica diventa la forza di un racconto situato, una scrittura in bilico tra slanci lirici e prosaica quotidianità che invoca con coraggio una leggerezza brillante, fatta dalle mille possibilità di scegliere cosa diventare.
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