Dopo tre anni, Tallest Man On Earth è tornato a Roma. Questa volta non più alla Chiesa Evangelica Metodista, che, sebbene abbia sempre un calendario interessante, pecca di un’acustica non proprio perfetta, ma in uno spazio concerti adeguato. E con quest’evento il Quirinetta segna un’altra tacca a suo favore come spazio culturale nel cuore di Roma da tenere d’occhio.
Nel 2012 il cantautore svedese Kristian Matsson era un ragazzino che, nonostante fosse già al terzo album, sembrava a suo agio solo con la sua chitarra, saltellando chiuso nel suo mondo sul palco spoglio, timido, con voce graffiante e sguardo basso. Oggi, accompagnato da una band di basso, tastiere, violino e batteria, è diventato un vero e proprio showman, che vira tempi e ritmi dei suoi pezzi in un continuo gioco d’invenzione con il pubblico.
Il concerto è stato un ben organizzato susseguirsi di intimi soli di piano e chitarra (acustica, elettrica, classica), duetti sperimentali con i diversi partner (basso e tastiere) e pezzi in gruppo che hanno spinto la sezione ritmica o sciolto i testi in trame rarefatte tipiche delle sonorità nordiche; il pubblico stipato in platea ha applautido felice e ha trovato la forza per zittirsi completamente nei brani più delicati.
La complessità musicale è nel complesso aumentata, ma in alcuni pezzi è sembrato di perdersi in costruzioni di altre folk band o sentirsi schiacciati su basi tipiche del pop che hanno inflitto voce pulita e ritornelli da cantare tutti insieme. Ecco, forse questa è stata l’impressione della presentazione live del nuovo album Dark Bird Is Home, registrato in studio nel 2015: la potenza del singer che mescola tradizioni si è arricchita di sonorità liriche e ossessioni da aurora boreale, ma ha perso un po’ il tono graffiante del folletto che arriva dalle lande svedesi per portarci un nuovo, semplicissimo, commovente sound.
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