di ENNIO SIMEONE – Nel discorso pronunciato alla vigilia della ricorrenza del 2 giugno il presidente Mattarella ha ricordato agli italiani dei princìpi fondamentali, ma, soprattutto, ha ribadito con chiarezza e con fermezza alle forze politiche la inderogabile necessità di tenere una linea di condotta rispettosa di quei princìpi. Soprattutto uno: quello di operare nell’interesse della collettività nazionale e non privilegiando sempre l’interesse di parte a danno del perseguimento del bene per la nazione. Ha ricordato perciò con quale spirito si mossero e agirono, pur mossi da posizioni ideologiche diverse, i partiti politici nella fase di ricostruzione dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale, auspicando che con lo stesso spirito si comportino oggi, quando il paese deve uscire dai disastri creati dalla pandemia.
Uscendo fuor di metafora e trasferendo questa accorata raccomandazione nella sfera concreta, operativa, dei comportamenti è il caso di riferirsi a un aspetto importante, addirittura primario, dell’attività dei partiti politici: quello legislativo.
La sede in cui questa attività si esercita è il Parlamento, espressione degli orientamenti degli italiani, ma luogo in cui si fissano – e si aggiornano – le regole di vita dello Stato. Sono regole che non sempre e non necessariamente devono riflettere pedissequamente la divisione ideologica e politica degli schieramenti.
Anzi, rispetto a questo principio, vitale per il corretto funzionamento di una democrazia, vi è stata una progressiva, perniciosa trasgressione, sconfinata nella degenerazione, con la trasformazione di Senato e Camera, senza alcun rispetto per i compiti che la Costituzione assegna loro, in arene da corrida, luoghi di scontri frontali, talvolta violenti e persino volgari, tra «governativi» ed «anti-governativi», a prescindere dal merito dei problemi da affrontare.
E si è arrivati ad un copione aberrante in base al quale si è spostata nelle mani del governo la funzione legislativa con la presentazione dei disegni di legge – ormai prevalenti sulle proposte di legge spettanti ai parlamentari – o, sempre più frequentemente, con la presentazione dei decreti legge, che sfociano spesso in voti di fiducia per accelerarne l’approvazione. Ecco perché ormai, nella distorta dialettica politica e nella informazione-deformazione giornalistica, viene imputata sempre più ai governi la responsabilità di carenze legislative o viene rivolto l’invito a «fare una legge», dimenticando che questo è compito primario del parlamento.
Quando Mattarella invoca un ritorno ai rapporti politici corretti degli anni ormai lontani del Dopo-Liberazione, cioè costruttivi e non costantemente e aspramente antagonisti, esprime un rimpianto per tempi in cui alla Camera e al Sanato era normale che venissero presentate proposte di legge firmate congiuntamente da parlamentari appartenenti sia a partiti di opposizione sia a partiti di governo. Cosa che ormai non accade più (o accade rarissimamente solo per qualche problema locale). Prevale ormai sempre la contrapposizione di schieramento, dove, di conseguenza, prevale non l’interesse del paese, non l’elaborazione di una legge utile al paese, ma la difesa della vita del governo o il tentativo di farlo cadere.
Prendiamo un esempio per tutti: il paralizzante sistema del nostro macchinoso sistema burocratico, che rallenta la vita e lo sviluppo economico e sociale del paese. Se ne parla da anni e anni, ma non lo si cambia o lo si è cambiato parzialmente e male, persino peggiorandolo. E prendiamo il modo in cui si formulano i testi delle leggi e dei decreti, che di volta in volta non vengono pubblicati nel nuovo testo modificato ma con tortuosi richiami a norme precedenti (i famosi «visto l’art. n. X, del decreto n. Y, del X, Y, Z»). Ogni volta che le assurde lentezze delle procedure danneggiano la tempestività e la efficacia dei provvedimenti, come è accaduto per l’elargizione degli aiuti statali ai danneggiati dal coronaviurus, parte la campagna dell’opposizione (politica e giornalistica) contro il governo in carica, additato come colpevole delle lungaggini burocratiche. Una campagna ingannevole e deviante, quali che siano i colori delle parti in causa, quindi ignobile e perciò improduttiva.
Non sarebbe più ovvio, normale e produttivo che un gruppo di parlamentari, espressione di tutti i gruppi parlamentari (di maggioranza e di opposizione) si mettessero insieme al lavoro per elaborare una riforma del sistema costruita a beneficio del buon funzionamento della macchina statale, a somiglianza di altri paesi dove ciò è stato realizzato? Questo significherebbe rinunciare – non sempre, ma quando è indispensabile nell’interesse dell’Italia – a mettere «bandierine» di partito su una buona azione, rinunciando a puntarle come lance contro lo schieramento politico antagonista. E’ chiedere troppo? O le forze politiche italiane credono di poter vincere non per merito di tutti (i propri e altrui), ma solo urlando contro i (presunti) demeriti degli altri?
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