Lo strapotere e l’ambizione illimitata di Erdogan hanno avuto una salutare sconfitta nel voto di domenica, dal quale voleva ottenere come “tornaconto” – e ha ostentato tale obiettivo durante tutta la campagna elettorale, sebbene presidente teoricamente sopra le parti – il consenso necessario per realizzare la riforma costituzionale e introdurre in Turchia il presidenzialismo. Naturalmente attraverso un “referendum” che avrebbe potuto assumere le forme di un plebiscito. Anche all’interno di una realtà molto complessa come la Turchia, un politico disinvolto, spregiudicato e potente come Erdogan, si era illuso di poter disporre a suo piacimento del suo popolo. Fortunatamente gli elettori lo hanno molto ridimensionato e tuttavia la delicata realtà emersa dalle urne non presenta un percorso semplice, sia per ragioni interne che di quadro internazionale.
La crisi dei Balcani, per la stessa posizione geografica, mette la Turchia a contatto con lo stato di guerra in Siria ed Iraq. E naturalmente con la situazione sempre più preoccupante del cosiddetto Stato islamico. Anche le posizioni dure assunte contro Israele non facilitano una funzione di mediazione nella permanente difficoltà nei rapporti israelo-palestinesi. Per tutte queste ragioni si complica anche la trattativa per l’ingresso nell’ UE che si trascina da molto tempo. Anche il vertiginoso sviluppo economico-sociale degli ultimi anni si è molto rallentato e sono cresciute le aree di povertà tra la popolazione. Preoccupante infine la repressione sempre maggiore della libertà di stampa e tv, minacciate in ogni modo dal governo, insieme all’autonomia dei giudici. I potenti servizi segreti controllano la vita sociale e sono sospettati di essere autori di attentati, arresti e minacce contro gli oppositori di Erdogan. Il risultato del voto rappresenta quindi un evento positivo per tutti, consentendo potenzialmente uno sviluppo di progresso democratico per la Turchia e l’importante funzione che può svolgere in un’area assolutamente strategica.
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