di NUCCIO FAVA – “Questa sera sono felice” ed era euforico Aziz, il mio caro amico iraniano che mi chiamava da Berlino. Fa l’architetto in uno studio di progettazione insieme a colleghi che provengono da tanti paesi e da tanti percorsi di vita differenti. Era entusiasta Aziz per il voto iraniano, una chiara vittoria del presidente Rouhani e della sua politica di apertura riformatrice. Era anche un po’ sorpreso per un risultato così positivo non solo a Teheran ma anche in provincia e nelle campagne. “Finirà che dopo cinquant’anni di esilio, potrò decidere di tornare in Iran: l’emozione è davvero grande”. Il mio amico Aziz è stato un vero giramondo. Dopo Roma, Lisbona, poi il sud Africa di Mandela e la Polonia, Berlino dove si è sposato con una ragazza svedese. Noi c’eravamo conosciuti all’università negli anni ’60 nell’ultima fase della dittatura dello scià, poco prima del ritorno trionfale di Khomeini e i successivi anni di violenza, integralismo e regime poliziesco. La solitudine, la condizione di esule sono state interrotte; solo oggi, superati i settant’anni, il mio amico Aziz si sente felice e mi dice che forse tornerà dove è nato.
E’ bello, più di tante analisi e di tanti commenti, avere conferma attraverso una telefonata personale che il voto degli iraniani ha aperto una fase davvero nuova e prospettive di ulteriori sviluppi, non solo di scambi commerciali, in una regione strategicamente decisiva per gli equilibri pacifici in quella parte tormentata del mondo. E’ stato merito soprattutto del presidente Obama avere creduto in questa opportunità e averla voluta sino in fondo. Nonostante l’opposizione dura di Israele e del congresso, i timori di una opinione pubblica preoccupata. Ma un vero leader sa dominare le emozioni, illustrare con pazienza e chiarezza le ragioni della sua politica e dei rischi possibili, senza rinunciare però alle ragioni di fondo del suo progetto. Così da ultimo è stato per la decisione ribadita di chiudere la vergogna di Guantanamo e di programmare la visita a Cuba per incontrare Castro, dopo tanti anni di tensione pericolosa e di incomprensione profonda.
Ci appaiono perciò ancora più modeste e inquietanti le biografie e i programmi dei candidati in lizza nelle primarie per la Casa Bianca. Trump, il magnate repubblicano ormai quasi favorito, si esprime in modo aggressivo, talvolta ripugnante. Dopo il volgare attacco a papa Francesco sfoggia una citazione di Mussolini da fare rizzare i capelli, e chissà quante altre uscite infelici collezionerà da qui alla conclusione delle primarie. La Clinton ha la sua carta migliore nell’essere donna, la prima possibile presidentessa alla Casa Bianca, anche se costantemente sotto l’ala protettrice del marito Bill. Da segretario di Stato di Obama non ha brillato, non ha capito molto di quanto accadeva in Libia, della fine tragica del regime di Gheddafi e della successiva morte in un attentato dell’ambasciatore americano. Non sono neppure pagine esemplari le vicende connesse al possibile uso privato di informazioni riservatissime riguardanti la sicurezza, né certi aspetti della vita famigliare relativi agli alti compensi anche alla figlia per conferenze e interventi richiesti da associazioni, università e fondazioni varie. Nessuna ombra del genere ha mai sfiorato Obama e la sua famiglia e anche per questo la sua presidenza sarà ricordata e la rimpiangeremo.
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