Come era nelle previsioni, il Senato ha assolto Donald Trump anche nel secondo processo d’impeachment, nel quale era accusato di istigazione all’assalto del Congresso Usa. A favore della condanna 57 voti, di cui sette repubblicani. I no sono stati 43. Ma per la condanna erano necessari 67 voti, ossia i due terzi dei 100 senatori. E ora Trump annuncia di volere “continuare a difendere la grandezza dell’America”.
Una sentenza annunciata, dopo che il potente leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, ha fatto trapelare una mail ai colleghi di partito in cui annunciava la sua intenzione di votare per l’assoluzione dell’ex presidente. Seppellendo così ogni residua speranza di una condanna che richiedeva il sostegno di almeno 17 senatori del Grand Old Party per raggiungere il quorum dei due terzi. McConnell, che aveva condannato pubblicamente Trump per aver istigato l’assalto al Congresso, ha sposato la tesi difensiva dell’incostituzionalità dell’impeachment contro un presidente già decaduto, ritenendo che si tratta “principalmente di uno strumento per la sua rimozione” e che il Senato non ha quindi giurisdizione.
Il leader Gop ha tuttavia sottolineato che “la costituzione stabilisce chiaramente che i delitti di un presidente commessi nel corso del suo mandato possono essere perseguiti dopo che lascia la Casa Bianca”, lasciando quindi una porta aperta alle inchieste in corso in varie procure. Un modo di rispondere al monito dei procuratori democratici, secondo cui ammettere che un presidente non possa essere giudicato dal Senato a fine incarico significherebbe che ha mani libere per qualsiasi delitto nelle ultime settimane del suo mandato. Ma alla fine McConnell ha preferito fare buon viso a cattiva sorte e abbracciare nuovamente Trump, come la maggioranza del partito, per tentare di riconquistare il Congresso già nelle elezioni di Midterm del prossimo anno.
La sentenza decide il destino, ora nuovamente incrociato, dell’ex presidente e del Grand Old Party: il primo, salvo sorprese sul fronte giudiziario, potrà ricandidarsi nel 2024 tenendo la presa sui repubblicani, il secondo è destinato a restare un partito populista e sovranista, col rischio però di fratture interne. La resa dei conti è stata aperta da una piccola fronda parlamentare e da pezzi da novanta come Nikki Haley, l’ex ambasciatrice Onu nominata da Trump e possibile candidata alla Casa Bianca nel 2024, che ha già scaricato l’ex presidente.
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