di ROMANO LUSI – Il capo politico provvisorio del M5s, Vito Crimi (foto a destra), ha ufficializzato anche per il gruppo di deputati del Movimento l’adozione del provvedimento di espulsione che è stato deciso per i senatori che hanno negato la fiducia al governo Draghi (nella foto a sinistra). Questa la “sentenza“: «Chi ha scelto di votare diversamente ha scelto di chiamarsi fuori da questo gruppo, lasciando dei vuoti. Ora le fila vanno serrate, affinché l’azione del gruppo, della squadra, sia ancora efficace».
La motivazione del drastico provvedimento è quella nota: i parlamentari che non si sono comportati in coerenza con il voto espresso dalla maggioranza dei militanti, che – sua pur con una prevalenza risicata – hanno votato per il sì al governo Draghi sulla piattaforma Rousseau.
Addirittura pare che i «dissidenti» (tra i quali vi sono molti militanti storici del M5s) avrebbero chiesto al segretario Ignazio Messina l’uso del simbolo Idv («Italia dei Valori» che fu di Antonio Di Pietro).
Vito Crimi, per attuare la linea dura contro i dissidenti, si trincera dietro un post di Beppe Grillo (che non muta la sua linea pro-Draghi): “I Grillini non sono più marziani“, scrive, e parla di perseveranza collegandosi a “Perseverance“, che è il nome del rover arrivato sul pianeta la scorsa notte.
E alla notizia dell’espulsione Barbara Lezzi risponde con una “minaccia“: «Mi candido a far parte del comitato direttivo del M5S (da cui non sono espulsa)». Minaccia che ha piuttosto il sapore di una provocazione, perché lo Statuto, all’art.11, recita che chi è espulso dai gruppi parlamentari lo è anche dal Movimento, e viceversa. C’è un dato tuttavia: il procedimento di espulsione – con il ricorso che, per prassi, viene fatto da chi subisce la sanzione – ha i suoi tempi. E chissà se, nel caso il voto sulla nuova governance preceda l’espulsione ufficiale, i dissidenti non possano candidarsi.
L’altro “big” del Senato cacciato dai vertici, Nicola Morra, staziona in mattinata a lungo alla Camera. Parla con Lorenzo Fioramonti, ex ministro M5S alla Pubblica Istruzione che da mesi pensa a un gruppo autonomo con altri fuoriusciti. I numeri, a Montecitorio, ci sarebbero, così come al Senato. Però Morra si sfila: “Non mi interessa, non voglio andare via”.
Insomma sono ore di scosse telluriche per il M5s e Luigi Di Maio aspetta che ci sia un primo assestamento. Poi potrebbe fare la sua mossa, come gli viene chiesto da diversi deputati. Ma la tensione, per ora, è troppo alta e investe anche due esponenti moderati del calibro di Alfonso Bonafede e Federico D’Incà che, a lungo, in Aula si attardano in una discussione dai toni piuttosto alti. E poi c’è il nodo Rousseau. L’affondo di ieri contro Crimi – “lo Statuto è cambiato, non è più capo politico” – ha acuito l’irritazione dei parlamentari. “Si tenga gli iscritti, facciamola finita. Lì c’è solo una gara per i click degli attivisti”, è la linea, tranchant, di un esponente della vecchia guardia.
Luca Di Giuseppe, facilitatore campano M5s vicino a Casaleggio, lancia una ‘call to action’ per sostenere gli espulsi con la funzione “Mi fido“. E in serata riemerge Alessandro Di Battista. La guida dei “descamisados” annuncia un live per sabato che pare una discesa in campo: «Ci sono cose da dire. Scelte politiche da difendere. Domande a cui rispondere ed una sana e robusta opposizione da costruire». E sullo sfondo, appare la guerra sul simbolo. Che è di Grillo e della sua Associazione dnel 2012, ma è stato ceduto in comodato all’Associazione M5s nel 2017, in cui risultano fondatori Luigi Di Maio e Casaleggio.
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