di ALESSANDRA MAGLIARO (Ansa) – Il processo penale e il rogo di Ultimo Tango a Parigi nel 1976 (nonostante l’appello di Bertolucci all’allora presidente della Repubblica Leone, con la concessione di salvare solo tre copie in custodia alla Cineteca nazionale come “corpo del reato”) è la vicenda storica più eclatante ma non certo l’unica. La cinematografia italiana conta decine e decine di casi di censura, tra cui il più recente Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco nel 1998. Dopo il niet a 274 film italiani, 130 americani e 321 da altri paesi su 34433 lungometraggi sottoposti a censura dal ’44 a oggi e 10092, ammessi dopo modifiche, ben un terzo del totale, secondo il censimento fatto in occasione della mostra permanente del Ministero della cultura, Cinecensura, tutto questo va in archivio.
Il ministro Dario Franceschini ha firmato il decreto che abolisce definitivamente la censura cinematografica, un provvedimento lungamente atteso, che accantona “quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti”, come ha sottolineato. Ed è istituita la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche presso la Direzione Generale Cinema del Ministero della Cultura con il compito di verificare la corretta classificazione delle opere cinematografiche da parte degli operatori. «In altre parole si mette in essere una sorta di autoregolamentazione – spiega nel dettaglio all’ANSA Nicola Borrelli, direttore della Direzione generale Cinema e audiovisivo – Cioè saranno i produttori o i distributori ad autoclassificare l’opera cinematografica: alla commissione il compito di validare la congruità». Questo vale per l’uscita in sala, è bene precisarlo perchè per le piattaforme vale il sistema del parental control (e dunque è demandata alla famiglia la responsabilità).
La classificazione è proporzionata alle esigenze della protezione dell’infanzia e della tutela dei minori, con particolare riguardo alla sensibilità e allo sviluppo della personalità propri di ciascuna fascia d’età e al rispetto della dignità umana. Dunque i film sono classificabili in base al pubblico di destinazione: opere per tutti; opere non adatte ai minori di anni 6; opere vietate ai minori di anni 14 (ma a 12 anni compiuti e con un genitore può vederle) e opere vietate ai minori di anni 18 (ma a 16 anni compiuti e con un genitore può vederle).
«La Commissione verifica la corretta classificazione, proposta dagli operatori nel settore cinematografico», specifica Borrelli. Composta da 49 membri incluso il presidente (è stato nominato a questa carica il presidente emerito del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno) , nel rispetto dell’equilibrio di genere, avrà durata di 3 anni e vedrà al suo interno sociologi, pedagogisti, psicologi, studiosi, esperti di cinema (critici, studiosi o autori) , educatori, magistrati, avvocati, rappresentanti delle associazioni di genitori e persino di ambientalisti. Per rendere più comprensibile la classificazione i materiali pubblicitari avranno icone indicanti la eventuale presenza dei contenuti ritenuti sensibili per la tutela dei minori, tra i quali violenza, sesso, uso di armi o turpiloquio.
La censura cinematografica ha una storia antica. È nata quasi contemporaneamente alla diffusione, in Italia, del cinema e precisamente con il Regio Decreto n. 532 del 31 maggio 1914, attraverso cui viene approvato il regolamento per l’esecuzione della Legge Facta. Nel corso degli oltre 100 anni il concetto stesso di censura è mutato, passando da severo controllo politico e sociale ad una revisione cinematografica, più propriamente amministrativa. E così dal ruolo di severa vigilanza politica, morale e religiosa (non a caso prima era il Ministro stesso che firmava di suo pugno i documenti), le commissioni di revisione cinematografiche hanno conservato dal passato, soprattutto, l’attenzione alla tutela dei minori. Il sistema della censura in vigore fino ad oggi aveva nelle riunioni di revisione delle commissioni il suo approdo finale ma ben prima nel processo di realizzazione e persino di ideazione si lavorava alla censura: in fase di scrittura, in fase di definizione dei mezzi produttivi, tra consigli opportunisti e vere e proprie contrattazioni perchè per accedere ai crediti agevolati del cinema, come al riconoscimento ministeriale bisognava arrivare senza rischi di censura. Alcuni autori che tentarono una via produttiva indipendente, come Fellini e Lattuada per Luci del varietà o Lizzani per Achtung! Banditi!, furono puniti con il rifiuto parziale o totale da parte delle commissioni di censura, ricorda storicamente la mostra Cinecensura. Tra i tanti casi eclatanti che oggi ci farebbero sorridere La spiaggia di Alberto Lattuada (1954), persino Totò e Carolina di Monicelli (1955), Rocco e i suoi fratelli, La dolce vita, L’avventura, Dolci inganni, La ragazza in vetrina, Il gobbo, la stessa Dolce vita o La ricotta di Pasolini, senza dimenticare i film hard dell’epoca come All’onorevole piacciono le donne con Buzzanca.
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