di RAFFAELE CICCARELLI*/ Quando ci troviamo di fronte a eventi drammatici, o tragedie, come quelli vissuti, e sfiorata, da Christian Eriksen durante la partita con la Finlandia per il campionato europeo, inevitabilmente ci viene da porci una serie di interrogativi, aspettando che sedimentino pulendosi delle emozioni del momento, aspettando qualche giorno per interiorizzare e razionalizzare quanto avvenuto. Al di là dell’ovvio, il senso della vita e la sua aleatorietà, la precarietà della vita stessa e la consapevolezza, che prendiamo solo in momenti come questi, che la morte non sia altro essa stessa che una faccia della nostra esistenza, ebbene oltre questi si pongono altri quesiti, dovuti all’avanzare del tempo, a nuove tecnologie che espandono i nostri sensi e la nostra percezione.
Come nei film dei supereroi, ormai i cinque sensi che ci ha donati madre natura sono amplificati da forme protesiche che anticipano, forse, quello che sarà l’uomo di un domani che è già oggi, un uomo bionico. Questo fa sì che nulla sia ormai nascosto o privato, tutto è fruibile, basta avere uno smartphone e trovarsi al posto giusto al momento giusto. Allo stesso tempo, però, quando ci troviamo nudi di fronte al mondo, improvviso ci riprende il senso del pudore, di nuovo cerchiamo di nascondere le nostre emozioni più forti, di non far vedere la nostra vulnerabilità. È questo il senso da dare, a mio avviso, all’anello di compagni di squadra che si mettono a scudo attorno al corpo esanime di Eriksen, mentre i sanitari lottano per riportarlo in vita.
L’immagine che colpisce, che ha colpito chi scrive, è quella del volto del giocatore a terra, un attimo prima che le telecamere non inquadrassero più la scena: uno sguardo vitreo, senza luce, specchio di un’anima ormai perduta. Un’immagine, traditrice di dolore, in un momento di assoluta spensieratezza, senza alcuna difesa. Ogni tragedia ha bisogno dei suoi eroi, poi, e in questa a tale ruolo è assurto Simon Kjaer, capitano non solo di nome della sua squadra, che si è prodigato nei primi soccorsi, nel gestire la situazione con i compagni di squadra e con la moglie dello stesso Eriksen. La tensione crescente, l’emozione nefasta di avere assistito ad altre tragedie in campo, partendo da Marc-Vivien Foé passando per Antonio Puerta e Pier Mario Morosini, il ricordo ancora più remoto di Renato Curi o quello recente, anche se non sul campo, di Davide Astori, alla fine tutto si è stemperato fino al sospiro di sollievo per lo scampato pericolo.
Restano i quesiti di cui sopra, resta il confine che la nostra nuova condizione ci porta sempre più a superare, quello dell’etica, del rispetto della privacy, che però può essere sempre controllato, se abbiamo attivata la nostra coscienza di uomini. Possiamo essere travolti dagli eventi e dalla smania di pubblicarli per sentirci, farci vedere, testimoni attivi e protagonisti, ma poi ci sarà sempre un istante in cui cuore e cervello, ragione e sentimento, ci manderanno i giusti impulsi per farci schiacciare, o meno, quel pulsante di invio. Resta Christian Eriksen, la sua rinascita, che ne fa l’eroe e il protagonista di questo Europeo, che sarà ricordato come “l’Europeo di Eriksen”, anche se non per le sue imprese in campo.
*Raffaele Ciccarelli, storico dello sport
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