Helgard Haug, Stefan Kaegi e Daniel Wetzel hanno fondato i Rimini Protokoll nel 2000. La cifra comune di tutti i loro lavori è la ricerca di una nuova prospettiva sulla realtà e, progetto dopo progetto, sono riusciti a ripensare gli strumenti del teatro con una modalità personale che li ha resi una firma inconfondibile. Negli anni si sono affermati tra i più noti esponenti del così detto ‘teatro documentario’ che indaga problematiche sociali, economiche o politiche di una comunità specifica lavorando su una meticolosa ricerca delle fonti. Al collettivo sono stati assegnati importanti riconoscimenti tra i quali il Premio Europa per il Teatro ‘Nuove realtà’ (2008), il Leone d’argento alla Biennale Teatro di Venezia (2011) e l’Excellence Award del 17° Japan Media Festival (2013).
Il gruppo lavora in modo ampio sulla materia artistica dando vita ogni anno a numerosi progetti che spaziano dal teatro alla radio, dalle arti performative alle esposizioni. Amano tradurre spazi urbani e strutture sociali in format teatrali con spettacoli caratterizzati da una forte centralità-interattività con il pubblico e da un uso fondante della tecnologia. Nella sperimentazione di nuove forme di messa in scena, i Rimini Protokoll delegano spesso il ruolo e la funzione degli attori e delle attrici al pubblico. Sfruttando continuamente meccanismi di sostituzione, costruiscono macchine drammaturgiche in cui gli spettatori assumono il ruolo di testimone, divenendo portatori di una presenza tramite il proprio corpo che permette, concretizza e dà significato all’azione scenica.
E proprio questo è il tema centrale de La conferenza degli assenti, progetto presentato in anteprima nazionale al Roma Europa Festival di Roma. Una voce registrata, a inizio spettacolo, avvisa che sarà proprio il pubblico in sala a dover tenere una conferenza sul palco. I relatori ufficiali, infatti, non sono presenti perché non hanno voluto spostarsi o non sono potuti venire e hanno deciso di non mandare video o partecipare da remoto. Il palco, quindi, è vuoto. Gli ospiti assenti, però, hanno lasciato le loro storie e sarà di alcuni volontari in platea la responsabilità di raccontarle.
Il tema dell’assenza viene declinato e ampliato grazie ai diversi racconti degli assenti secondo prospettive fisiche, sociali, politiche, identitarie, professionali e penali. Grazie agli spettatori/strumenti che con la loro voce diventano veri e propri testimoni, i vuoti delle storie raccontate si concretizzano e prendono vita: la molteplice assenza prende le fattezze di chi la abita e le storie viaggiano nello spazio e nel tempo, tra chi le ha vissute, chi le racconta e chi le ascolta.
Un meccanismo magistralmente congegnato, coadiuvato da una regia complessa e tecnici efficientissimi, dà vita a un altrove che si fa presenza grazie all’azione del pubblico, non più solamente passivo, ma ingranaggio essenziale della messa in scena. Ma proprio questo necessario protagonismo di alcuni, che vivono un’esperienza sperimentale, forse mostra la fragilità intrinseca del meccanismo in gran parte ripetitivo per gli altri, che assistono allo spettacolo come fosse un tradizionale racconto di storie dell’assenza.
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