di FEDERICO BETTA – “Fare un figlio non ha a che fare con il fatto di completarsi, ma con la possibilità di mettersi in discussione”. Con la voce di una donna intervistata, in fuori campo, si apre lo spettacolo Una cosa enorme, per la regia di Fabiana Iacozzilli, in scena al Teatro Vascello di Roma per il Roma Europa Festival fino al 21 novembre.
Sul palco una potentissima Marta Meneghetti (foto) si muove portando il peso di una pancia gigantesca, in uno spazio spoglio, accompagnata solo da un frigorifero, una cucina a gas, una pianta e una poltrona. Riecheggiano da subito le atmosfere dei primi lavori della Iacozzilli, qualcosa che riporta alle sospensioni beckettiane e al simbolismo della fiaba. La donna ha un fucile e cerca di difendersi da qualcosa che incombe e minaccia, spara a uccelli gracchianti e con fierezza si libera dei loro cadaveri, difendendo il suo territorio. Sembra essere ostaggio e in costante lotta con questa pancia che la sovrasta e le dà un ruolo; è una pancia che la connota e si ribella e ogni volta che si prende la libertà di fumare una sigaretta, la inonda con i suoni del mare, con una sorta di eco primordiale della grande madre.
A contrappuntare la recitazione dilatata e grottesca, a tratti interviene la voce off della regista che sincera e spietata sembra fare i conti con domande che la attanagliano personalmente: “se non si è madri, si è donne solo a metà? Il senso profondo di essere madre si può ridurre alla procreazione? La cura è un processo femminile?”
Tanti sono gli interrogativi, le immagini e le riflessioni che irrompono nel vuoto della scena, in uno spettacolo che pare diviso in due quadri, in due tempi, con una cesura che viene segnata dall’arrivo di uno strano personaggio. Appare il corpo teso e nodoso del bravissimo Roberto Montosi che, come un uccellino appena uscito dal nido, in tutta la sua magrezza sembra un figlio già vecchio. Dal momento in cui la donna perde la sua pancia enorme, la sua figura muta: sembra aver perso la sua identità e la sua rabbia, divenendo figlia e assistente di questa creatura che in tutto e per tutto dipende da lei. La metafora è subito chiara, e quello che all’inizio ci era apparso come un figlio anziano, simbolo forse di una società in decadenza, si rivela essere un padre che necessita della figlia per poter compiere qualsiasi azione quotidiana. Una cosa enorme è uno spaccato sulle età della vita, un luogo dell’anima che lotta con l’orgoglio, l’egoismo e la fatica; e come un ciclo della riproduzione ci ricorda che per ognuno arriverà il momento di tornare ad affidarsi alle cure di altri, con la paura che se i figli non ci saranno anche questa cura si disperderà.
Fabiana Iacozzili tocca una ferita aperta e, capace di mettersi in prima persona, sperimenta i confini della performance, del teatro, dell’indagine sociologica e della confessione. Attraversando una ricerca materiale che si confronta con altri uomini e donne che donano esperienze e voci, lo spettacolo ribalta punti di vista immergendoci in un’atmosfera di fiaba inquietante che si occupa di quella cose enorme che è il tema della maternità.
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