di SERGIO SIMEONE* – I sostenitori del “né né” (né con Putin e né con la NATO) continuano ad arrampicarsi sugli specchi. Ultimamente affermano che agli USA questa guerra conviene perché la Russia di Putin si sta dissanguando e perciò Biden non vuole che si arrivi ad un accordo. E insistono poi nel criticare il governo italiano che ha scelto, insieme con la UE, di fornire armi alla resistenza ucraina anziché tentare la mediazione mediante la diplomazia.
Che Putin si sia cacciato in una trappola e che gli USA ne traggano vantaggio è vero: sta dimostrando sul piano militare una grande debolezza tattica, subendo gravi perdite da parte dell’esercito ucraino, considerato, alla vigilia della guerra, nettamente inferiore da tutti gli esperti militari. Sta pagando per la sua avventura sanzioni molto pesanti. Ha provocato il compattamento della Unione europea con gli USA. Le devastazioni e le stragi ingiuste che sta infliggendo ad un popolo lo hanno politicamente isolato in tutto il mondo, tanto che la stessa Cina, che pure si professa sua alleata, non se l’è sentita di andare oltre l’astensione in occasione del voto all’ONU sulla risoluzione di condanna dell’invasione.
Ma il vantaggio americano è la conseguenza, oggettiva, dell’invasione, non la causa, perché Putin nella trappola si è cacciato da solo, mostrando una tenace ostinazione nel perseguire il suo progetto bellicista, non certo incoraggiato da Biden che, al contrario, ha segnalato in tempo le manovre dell’esercito russo ai confini dell’Ucraina e lo ha ammonito più volte a non invaderla. Mentre, nel frattempo, i più autorevoli leader europei si recavano a Mosca nel tentativo di fermarlo. Incolpare Biden e la NATO dei guai in cui oggi si trova mi pare disonesto.
Ad invasione avvenuta, non restava ad USA ed UE altra scelta che aiutare militarmente l’Ucraina a resistere. Innanzitutto perché sono stati gli ucraini a scegliere di resistere all’invasione, e se un popolo decide autonomamente di difendere con le armi la propria libertà, nessuno ha il diritto di decidere, al suo posto, che invece deve arrendersi, ma tutti hanno il dovere morale di dargli tutto il sostegno possibile (la sottolineatura è doverosa, perché occorre tener conto delle conseguenze devastanti che forme inadeguate di intervento potrebbero scatenare). Poi perché un conto è sedersi ad un tavolo di trattativa mentre ci si batte, altro conto è sedersi a quel tavolo da sconfitti, quando il proprio potere contrattuale è uguale a zero. In questo secondo caso più che realizzare un accordo si subirebbe il diktat del vincitore.
Per quanto riguarda la mediazione, se questa non procede, non è certo per colpa di Zelenski, che ha chiesto più volte di incontrare direttamente Putin; è arrivato addirittura a chiedere ad USA e UE di non sanzionare l’oligarca Abramovic perché possa svolgere un ruolo di mediatore; ha fatto proposte concrete di bilanciamento, come la neutralità dell’Ucraina e la possibilità di trovare una soluzione per Crimea e Donbass. E’ Putin invece che non ha ancora detto a quali condizioni sarebbe disposto a porre fine alla guerra. Probabilmente l’obiettivo che ha in mente è talmente indecente che può essere rivelato ed imposto solo dopo aver piegato militarmente l’Ucraina. E questo obiettivo io penso sia quello quello di replicare il modello Bielorussia, insediando un Quisling al posto di Zelenski.
In queste ore arrivano alcuni segnali da Mosca, che, se sinceri, potrebbero essere molto interessanti: il Cremlino dice che il vero obiettivo dell’invasione non è l’occupazione di tutta l’Ucraina, ma solo la difesa delle repubbliche del Donbass e che pertanto la cosiddetta operazione speciale (come Putin eufemisticamente e ipocritamente chiama questa guerra) potrebbe avere termine entro il 9 maggio. Ci si troverebbe in tal caso di fronte ad una dichiarazione dal sapore esopiano: l’Ucraina, come l’uva desiderata dalla volpe della favola, nondum matura est. Il che sta a dimostrare che non è vero che la resistenza degli ucraini, oltre ad essere dolorosa è anche inutile.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato Scuola della Cgil
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