PUNTI DI VISTA/ Nella scuola italiana todos caballeros

di ALFONSO INDELICATO A pensarci bene Luca Ricolfi possiede quella che è la qualità essenziale per diventare un’auctoritas in Fratelli d’Italia: il non avere nulla a che vedere con la tradizione politico culturale che inizia dal MSI e si dipana – passando attraverso la parentesi in blazer di An – fino al partito della Meloni. L’importante è non essere “dei nostri” (qualunque cosa significhi tale locuzione) ma provenire da un qualche altrove. E Ricolfi in effetti più da fuori di così non poteva venire. Beninteso si tratta di persona illustre (altro requisito essenziale per essere apprezzato da FdI) ma è studioso di statistica. E la statistica come notorio è quella scienza che considera le persone e le loro esigenze sotto il profilo matematico (se un soggetto mangia un pollo e un altro soggetto resta a digiuno, per la statistica hanno mangiato mezzo pollo a testa).

Ora, la proposta di una valutazione “a livelli” che non prevede bocciature ma certificazioni, la quale pare abbia tanto entusiasmato Giorgia Meloni, deriva per l’ appunto da un tale presupposto matematico: ciò che conta nella scuola non è la crescita culturale e umana della persona (retaggio rifiutato del latino concetto di humanitas) ma la certificazione delle sue capacità e competenze, da annotare in un file che sarà per lo studente il viatico per il mondo del lavoro.

Si tratta di un impianto pragmatico e utilitaristico tipico del mondo anglosassone,  che ha il filosofo John Dewey quale stella polare e che ha relegato in soffitta la nostra tradizione scolastica e accademica da Quintiliano a Gentile, quella tradizione che ci ha fatto – diciamolo senza timidezza – grandi nel mondo.

A tale approccio pragmatico consegue poi una deriva da manierismo sessantottino che elimina, come si diceva, la bocciatura, rinverdendo i fasti del 6 e del 27 politico. E anche questo è un requisito per fare un bel cursus honorum nel partito della Meloni: quell’ occhieggiare a bande lontane ed estranee, quel tramestare con idee opposte alle proprie,  insomma quella contaminazione che vuole forzosamente apparire come prova di autonomia intellettuale e apertura al nuovo, e invece trattasi semplicemente di tradimento della propria cultura e della propria storia.

Il ’68 prossimo venturo sarà dunque meno fantasioso e violento, più burocratizzato, infarcito di “crediti” – anche questi obbrobri partoriti da menti albioniche – ma avrà in comune col precedente il sogno di un paese dei balocchi dove nessuno, come recita un slogan della sinistra, “rimane indietro”.

Finché la vita non si occuperà di informare che la sconfitta è parte dell’ esperienza umana, e sarà un scoperta particolarmente dolorosa per chi non l’ha sperimentata a scuola sotto forma di una bocciatura, di un esame a settembre o di una semplice interrogazione insufficiente.  Qualcuno, per favore, informi la Meloni su dove sta andando a parare.     

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