di SERGIO SIMEONE* – Giovedì si riunirà la direzione nazionale del PD per dare avvio alla fase costituente del partito, che precederà il congresso, al termine del quale sarà eletto il nuovo segretario. In pole position, come sappiamo, c’è il presidente della regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini. Bonaccini sa che se toccherà a lui tentare di rilanciare il PD, oggi in seria crisi, dovrà affrontare un compito molto arduo, per cui avrà assoluto bisogno dell’unità di tutto il Partito.
E’ tanto vero che lo sa che ha già annunciato, in caso di elezione, che farà guerra senza quartiere al correntismo da cui oggi è afflitto il PD. Ma in realtà c’è un’altra spaccatura che mina l’unità del Partito ed è quella territoriale tra nord e sud. Il nodo principale da sciogliere in questa fase è quello della autonomia differenziata. E’ ben noto che quando nel 2017 le due regioni governate dalla Lega (Veneto e Lombardia) indissero i referendum per rivendicare la competenza regionale su una serie di materie, l’Emilia Romagna di Bonaccini si accodò. E se negli anni successivi il PD si mostrò piuttosto reticente nel denunciare i pericoli che derivavano per il Mezzogiorno dall’attuazione della autonomia differenziata molti la attribuirono al fatto che non voleva sconfessare il presidente della più importante regione governata dal PD.
Ora però l’ambiguità del PD non è più sostenibile perché lo schieramento pro autonomia si è messo in movimento con determinazione : c’è il centro-destra al potere, che pare abbia trovato un compromesso tra il centralismo dei Fratelli d’Italia ed il secessionismo della Lega mediante uno scambio tra presidenzialismo ed autonomia differenziata e il ministro delle autonomie Calderoli si è subito dato da fare nel preparare una proposta di legge sul tema. Dall’altra parte, a contrastare il progetto leghista non ci sono più solo singole personalità, come il costituzionalista Massimo Villone o il presidente della SVIMEZ Adriano Gianola, ma anche, finalmente, i presidenti di Puglia e Campania (Emiliano e De Luca) ed il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi.
Di fronte a questo scontro, che si annuncia al calor bianco, il candidato alla segreteria del PD non può non prendere una posizione netta e non può non fare una scelta che non penalizzi il Mezzogiorno. Certo, il progetto di Bonaccini è molto meno nocivo per il Sud di quelli di Zaia e Fontana. Ma il presidente dell’Emilia deve tener conto anche di un altro aspetto della questione: è in fase di attuazione il Pnrr , il cui obiettivo è dar vita ad un riequilibrio territoriale, colmando, mediante opere infrastrutturali materiali ed immateriali, dotazione di servizi essenziali, investimenti in attività produttive, il forte divario tra nord e sud. Questo obiettivo è realizzabile solo se tutto il Paese lo farà proprio e non se si pone in essere un processo di frantumazione istituzionale che vedrebbe ancora una volta le regioni meridionali depauperate di risorse e lasciate sole con le loro fragili strutture amministrative ad affrontare questo titanico sforzo.
Tutto ciò avviene, inoltre, proprio mentre il governo Meloni sta smantellando il reddito di cittadinanza, che, pure con i suoi limiti, è l’unica misura che ha dato finora un sollievo alla disperante miseria del sud. O Bonaccini, perciò, decide di schierare il PD con chiarezza contro l’autonomia differenziata o è meglio che si faccia da parte per evitare al partito un altro fallimento.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del Sindacato Scuola della Cgil
Commenta per primo