di SERGIO SIMEONE* – Ci sono certamente delle responsabilità personali per la tragedia di Cutro, da ricercare tra coloro che dovevano attivare i soccorsi per salvare i migranti che navigavano per raggiungere la costa calabrese e non lo hanno fatto. E di queste si occuperà la magistratura. Ma queste omissioni sono frutto di un mutato atteggiamento politico verso il fenomeno emigrazione che ha finito per essere assimilato da quei corpi dello Stato che sono deputati a soccorrere i naviganti in difficoltà. Lo nota l’ammiraglio Vittorio Alessandro, ex portavoce del comando generale delle capitanerie di porto, oggi in pensione, che, intervistato da La Repubblica, ricorda con orgoglio il faticoso lavoro di salvataggio compiuto dalla sua guardia costiera, che trovava il compenso nell’apprezzamento della pubblica opinione. Poi qualcosa è cambiato.
“E’ cambiato, dice l’ammiraglio, che ad un certo punto le nostre motovedette sono diventate i “taxi del mare”, i nostri uomini da eroi sono diventati la cinghia di trasmissione, le nostre navi come la Diciotti e la Gregoretti, che avevano fatto niente di più che il loro dovere salvando i migranti in pericolo, sono state lasciate fuori dai porti italiani.”
Ed è proprio la vicenda della Diciotti che diviene emblematica di come ad un certo punto venga rappresentato il fenomeno migratorio da parte dell’allora principale partito della destra, la Lega, e di come esso sia fatto proprio dalla pubblica opinione. Matteo Salvini, indagato per non aver fatto sbarcare subito i naufraghi della Diciotti, dichiara, indignato, che lui rischia la galera per aver difeso i confini della Patria. Si tratta di una dichiarazione semplicemente ridicola, tenuto conto del fatto che il pericolo per la patria verrebbe da 150 poveracci debilitati dal naufragio e per giunta trasportati da una nave della marina militare italiana. Eppure i social si scatenano nel lanciare invettive e minacce contro i giudici e nell’esprimere sostegno al “capitano”, che verrà poi premiato dagli italiani alle elezioni europee con un sonante 34%.
Non c’è perciò da meravigliarsi che il nuovo ministro dell’Interno del governo Meloni si sia subito mosso in sintonia con l’approccio salviniano: le migrazioni sono un pericolo per il nostro Paese non un problema umanitario. Vanno affrontate perciò con azioni di polizia e non con operazioni di soccorso. I nemici di questa impostazione sono le ong , quelle che più si prodigano nei soccorsi, che vanno sfiancate con giornate di navigazione per raggiungere i porti assegnati e tenute lontane dalle zone in cui possono verificarsi i naufragi. Non c’è poi da meravigliarsi, allora, che, quando un aereo della Frontex segnala alle autorità italiane il barcone al largo delle coste calabresi, vengano inviate le motovedette della Guardia di Finanza, in grado di sorvegliare non di soccorrere, a causa del mare grosso e della loro ridotta capienza, mentre le navi della Guardia Costiera, ben più idonee a tenere il mare e ad accogliere i naufraghi, restano inutilizzate. E così si compie la tragedia.
E’ bene, allora, che vengano individuati e puniti i responsabili di questa ultima tragedia. Ma se vogliamo che non ve ne siano altre occorre innanzitutto una diversa narrazione del fenomeno migratorio da parte dei media e dei politici, in modo che la pubblica opinione capisca che i migranti che arrivano dall’Africa e dall’Asia non sono diversi da quelli che arrivano dall’Ucraina e non suscitano alcuna avversione lontano dai loro Paesi: famiglie spinte da guerre e carestie a cercare un poco di pace e benessere. Occorre poi che il governo e l’Europa organizzino un vero piano di accoglienza, che permetta l’arrivo di migliaia di lavoratori stranieri, professionalmente formati, da inserire nella nostra economia, che ne ha grande necessità. La solidarietà fa bene al cuore ma può far bene anche al PIL.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato Scuola della Cgil
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