I difensori di Massimo Bossetti, accusato dell’assassinio della tredicenne di Brembate di Sopra Yara Gambirasio, hanno contraddetto con fermezza le tesi della pubblica accusa, proponendo una ricostruzione del delitto del tutto diversa da quella che ha portato all’incriminazione del 45enne carpentiere di Mapello e che dal 1° luglio lo potrebbe seppellire all’ergastolo. Gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini respingono l’impianto accusatorio facendo notare che l’uccisione della sventurata studentessa è chiaramente opera di un maniaco, cosa che Bossetti non è e mai nella sua vita ha dato neppure l’impressione di essere.
L’attacco più pesante alla tesi del pubblico ministero Letizia Ruggeri è arrivato nel pomeriggio, quando l’avvocato Salvagni ha tentato di minare la colonna portante (e anche l’unica) dell’accusa, la prova del Dna, affermando che «l’indagine del Dna non è utilizzabile contro Massimo Bossetti, perché c’è un mezzo Dna, e per di più inquinato».
«La scienza – ha affermato il legale – deve dare certezze granitiche, mentre questo è il processo delle anomalie». Eccole queste anomalie: la natura non precisata della traccia da cui è stato estratto il Dna di Ignoto 1, l’indicazione di tracce miste «anche quando non lo sono», il mitocondriale «sparito» e la «contaminazione». Quando sono stati eseguiti i test su «Ignoto 1», ricorda Salvagni, l’esame ha dato per tre volte lo stesso risultato. «Ma nel controllo negativo (cioè la controprova) c’è qualcosa di anomalo, dei picchi che indicano che ci sono state contaminazioni». E poi: «Si è detto, forse troppe volte sottovoce, che qui c’è un altro Dna mitocondriale, che non è quello di Bossetti». Per i consulenti della procura si tratta di una sottotraccia non interpretabile, che non cambia il valore di Ignoto 1. Per la difesa è un «tallone d’Achille» della tesi accusatoria.
L’avvocato Camporini ha fatto una constatazione “ambientale”: «Non vorrete credere – ha detto rivolgendosi ai giudici – alla favola che al buio, sotto l’acqua e la neve, nel campo infangato, l’assassino abbia alzato la maglietta per uccidere!».
Yara è stata picchiata, ferita e poi abbandonata in un campo incolto a Chignolo d’Isola la sera del 26 novembre 2010. Secondo gli inquirenti, lì è morta di freddo e stenti dopo che l’assassino l’ha colpita in più punti con un coltello sollevandole giubbotto e maglietta, indumenti che non sono tagliati come i leggings. Secondo i difensori, invece, l’omicidio è stato commesso in un altro luogo. Infatti «i vestiti della vittima non sono sporchi di fango. Yara è stata spogliata e rivestita in un altro posto, in un altro contesto. Non ci sono tracce di erba nelle ferite, ma ci sono fibre. Il corpo deve essere stato avvolto in un telo e poi scaricato. E d’altronde anche l’anatomopatologa Cattaneo, che ha eseguito l’autopsia, non ha escluso questa possibilità».
Ma c’è un’altra incongruenza che l’avvocato Camporini fa notare: riguarda il luogo in cui la vittima ha incontrato il suo assassino. Secondo l’accusa, l’ipotesi più probabile è che la ragazzina si sia imbattuta in Massimo Bossetti in via Morlotti, la strada che collega il centro sportivo di Brembate a via Rampinelli, dove si trova la casa dei Gambirasio. Ma – dice il difensore – non si può affermare che Yara sia uscita dal centro. L’ultimo ad averla incrociata è un papà che l’ha salutata all’ingresso della palestra. Nessuno l’ha vista in strada, così come nessuno ha visto Bossetti, né il suo furgone. Ci sono invece tre testimoni che parlano di un furgone bianco: un mezzo cabinato, differente dall’Iveco Daily dell’imputato. E a questo proposito l’avvocato ha sottolineato come sull’Iveco «non è stata trovata nessuna traccia di sangue. È un dato significativo al massimo. Il sangue non si cancella, anche dopo anni».
Camporini ha voluto inserire, per accrescere i dubbi nella mente dei giudici, anche la sottolineatura che una fisioterapista che lavorava nel centro sportivo frequentato da Yara quel pomeriggio fu molestata da un uomo: «in un processo indiziario come questo tale elemento farebbe di quell’uomo l’indiziato numero uno». Il legale ha ribadito che, se fosse colpevole, Massimo Bossetti, di fronte a quel Dna avrebbe potuto dire che conosceva Yara e, quindi, che la presenza del suo Dna poteva derivare da un contatto occasionale con la ragazzina; invece fin dal primo momento ha detto e ribadito che non l’ha mai vista né conosciuta. Ha scelto la linea della sincerità».
L’avvocato Camporini ha poi parlato esplicitamente di «falsificazione della realtà» in riferimento a uno degli indizi presentati dall’accusa, quello delle fibre e delle sferette trovate su Yara. Per gli inquirenti, le fibre sarebbero frammenti del tessuto che riveste il furgone di Bossetti e il passaggio sarebbe avvenuto per contatto. Ma quelle fibre «sono uguali a quelle di 150 mila altri furgoni. E non si può condannare per delle somiglianze».
È toccato poi all’avvocato Claudio Salvagni toccare uno dei temi più delicati per Bossetti, le lettere a luci rosse che ha scambiato in carcere con una detenuta per truffa, tale Gina: «Sono state usate per suffragare l’idea di un Bossetti predatore sessuale, un uomo incapace di trattenere i suoi istinti sessuali. Ma – dice il legale – in quella corrispondenza c’era scritto “Sono stanco di questa solitudine, mi manca l’affetto dei miei figli”, e ciò è stato messo in ombra». Salvagni è tornato poi sul presunto tentativo di fuga da parte del carpentiere quando i carabinieri andarono ad prelevarlo, il 16 giugno 2014, in un cantiere di Seriate. Per l’avvocato c’è poco da contestare: «la smentita è nel video dell’arresto».
E circa la testimonianza di Alma Azzolin, che dice di avere visto Bossetti insieme a una ragazzina che poteva essere Yara a settembre 2010, cioè un paio di mesi prima dell’omicidio, secondo i difensori può trattarsi solo di auto-suggestione. Altrimenti, perché non è andata dai carabinieri subito dopo l’arresto di Bossetti invece che diversi mesi più tardi, nel novembre successivo? Infine, per quanto riguarda le ricerche in Internet con la parola «ragazzine», l’avvocato Camporini ricorda che sono state eseguite dalla moglie di Bossetti, come lei stessa ha affermato in aula. E quella del 24 maggio 2014 anche se l’avesse fatta Bossetti, che prova è? Che cosa dimostra?.
Oggi in aula erano presenti anche la moglie di Bossetti, Marita Comi, e il fratello di lei Agostino. Dopo la deposizione a febbraio, la donna si è vista in tribunale nella udienza precedente e il giorno dell’esame del marito.
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